foto. ALLEGHE LUXOTTICA 1977
in piedI il secondo ORAZIO DE TONI, IL TERZO SANDRO DE TONI IL QUARTO RENATO DE TONI CAPITANO /// /// /// ///
Un regalo per i veri appassionati dell’hockey su ghiaccio. Prendetevi un’ora e mezza di tempo per ascoltare l’intervista ai fratelli De Toni. Renato, papà di Manuel e Milos. Sandro fratello di Renato e zio di Milos e Manuel.
Intervista realizzata nel 2012 all’Albergo Coldai di Alleghe. di Mirko Mezzacasa
BUON ASCOLTO.
parte uno
parte due
SIGNOR SINDACO, L’ HOCKEY AL POTERE
ALLEGHE – Renato De Toni è l’ unico sindaco italiano che si sia sfracellato tibia e perone contro una balaustra di un campo da hockey. “Avevo battuto a rete e proseguivo come sempre la corsa dietro la porta, mentre con la coda dell’ occhio guardavo se la palla era in gol. Il pattino si è infilato in una fessura del ghiaccio ma ugualmente non mi sono preoccupato, l’ unica mia attenzione era nel vedere se avevo segnato un altro dei miei mille gol in serie A. Sono andato in rotazione ma ugualmente ero tranquillo, perché migliaia di volte ero finito contro la balaustra e non mi era mai successo niente. E invece quella volta a Bolzano mi spappolai la gamba”. Squalificato per una birra L’ incidente fermò la carriera di uno dei più grandi attaccanti della nazionale italiana e lo lasciò con una gamba destra più corta di tre cm; ma i mille gol gli regalarono la carica di sindaco, perché, due anni fa, dopo le elezioni (avevano vinto dei democristiani su altri democristiani), quando si dovette scegliere un uomo al di sopra delle parti, fu naturale affidarsi all’ uomo che aveva condotto l’ assalto contro Cortina e Milano, alla ricerca di uno scudetto che fu loro sempre negato. “Ci hanno combattuto con tutti i mezzi. Una volta squalificarono un nostro giocatore prima di un match decisivo perché aveva tirato una birra addosso a un arbitro in un bar. Gli diedero sei giornate, non da scontare a un bancone ma sul ghiaccio. E noi perdemmo il titolo”. Perché i compaesani scegliessero a guida il proprio numero ‘ 10′ è facile a capirsi: perché era già stato il leader della squadra e in una comunità in cui l’ hockey è tutt’ uno con il paese (prima di tutto in senso fisico: il lago sul quale d’ inverno tutti hanno imparato è nella curva della strada sotto la chiesa) era giusto dare il potere all’ hockey più che ai partiti. “Il bilancio del Comune, tolti gli stipendi, non raggiunge i due miliardi: quello della squadra è superiore”. Hanno giocato ad hockey nove dei quindici consiglieri, e tra questi il sindaco, il vicesindaco, l’ assessore alla scuola. Uno strano laboratorio politico, per chi immagina, dopo il caso Schrott, che questi siano atleti violenti di uno sport violento. Renato, che pure ha conosciuto quella volta a Bolzano la caduta della propria inviolabilità, non ha dubbi: “La morte di quel ragazzo è stata una fatalità incredibile. I nostri bastoni sono sottili, se colpisci duramente si spezzano. Quando sei su un pattino, se tiri un pugno, scivoli indietro: è una legge fisica”. Ma che politica fa un hockeysta? “Noi qui abbiamo una sola risorsa, il territorio. Stiamo bloccando ogni lottizzazione perché, se finiamo la terra, non ci rimane più nulla”. E la terra, o l’ acqua ghiacciata, sono parte integrante della vita di Alleghe. Quando era incinta di otto mesi la madre di Renato ancora andava a pattinare e a guardare attraverso la lamina trasparente i tronchi degli alberi sommersi, lì rimasti dopo la frana del 1771 che otturò la valle e formò il lago. Vecchie maglie prese a Dobbiaco Babbo Ermanno invece, reduce da un tour di prigionia in Germania (“28 giorni e un pasto”) appena dopo la guerra aveva formato, con gli altri paesani (e tanti altri De Toni), la squadra, andando a prendere a Dobbiaco, su un carro militare a tre ruote, delle vecchie maglie. Il vecio si vanta di aver segnato il 51% dei gol di allora. “E quand’ ero piccolo si metteva in finestra e mi guardava giocare sul lago. E mi fischiava se sbagliavo posizione in campo”. Renato è della generazione che è stata strappata al lago e portata sulla terra, in un palazzetto che fu costruito agli inizi degli anni ‘ 70, quando l’ Alleghe era diventato una realtà dell’ hockey e si era già guadagnato un singolare record mondiale: quello di essere, in ogni sport, il paese più piccolo con una squadra in serie A. Renato era già in nazionale dal ‘ 65, e con l’ Italia aveva in seguito fatto una tournée negli Stati Uniti, dove aveva incontrato i giocatori più forti del mondo, tra i quali i terribili sovietici. “A Colorado Springs, nel ‘ 67, contro l’ Urss perdemmo 28 a 2 perché eravamo praticamente senza portiere. Ma un gol lo segnai io e me lo dovetti guadagnare perché i sovietici non ti regalavano niente. Per me un gol indimenticabile”. Ma era un’ Italia forte, comunque. “Nel ‘ 71 arrivammo secondi nel gruppo B dei Mondiali, perché battuti dalla Svizzera. Tirammo in porta 52 volte contro 27 degli svizzeri: ma loro vinsero 5-0”. De Toni (questo De Toni, da non confondere con altri due Renato, poi Sandro, Orazio, Walter, Orlando, ecc.) non è formalmente impegnato nella società, anche se adesso nelle giovanili giocano i due figli, Milos e Manuel, così battezzati per dare un taglio alle omonimie (“Milos è in onore di Forman, il regista cecoslovacco: quando nacque avevo visto ‘ Qualcuno volò sul nido del cuculo’ “). Ma c’ è un motivo per cui sia lui ancora una volta l’ uomo di punta delle battaglie sportive di questa comunità ed è la trasformazione che ha subito negli ultimi anni questo sport in Italia. “Abbiamo riempito le squadre di oriundi americani e canadesi. Ci sono squadre, come le milanesi, che non hanno quasi italiani. E’ un sistema che uccide noi delle Valli. Io devo guardare anche alla funzione sociale dello sport: se i giovani di questo paese, che fanno tanti sacrifici, che spesso devono rinunciare a certi studi perché altrimenti dovrebbero andare lontano e lasciare l’ hockey, non hanno speranza di giocare in A perché chiusi dagli stranieri, prima o poi smetteranno. Che farò io per strapparli alla televisione, alla pigrizia? Al pubblico, cioè al paese, questo andamento recente non piace. Abbiamo meno spettatori adesso di quando giocavano solo gli italiani. Il perché è ovvio: venivano allo stadio per vedere giocare i fratelli, i figli, i parenti”. Un vivaio molto ricco Prima o poi l’ età dei fischi dalla finestra finisce per sempre, anche se Alleghe tiene vivo il proprio patrimonio, la propria tradizione che è insieme passione sincera e mancanza di alternative. “Il nostro vivaio è ricchissimo. Siamo primi nell’ Under 13, nell’ Under 15, terzi nell’ Under 19 dove abbiamo vinto il titolo l’ anno scorso. Ma lasceremo perdere tutto se dovesse vincere l’ altro hockey, quello che fa spettacolo e si disinteressa dei giovani. Se Berlusconi, o Cabassi, a Milano facessero del vivaio, qualsiasi quartiere della città sarebbe cento volte più grande di noi che siamo millecinquecento sotto questo monte”. Domenica c’ è stata una riunione tra i presidenti di società per affrontare questi e altri problemi. La posizione dell’ Alleghe club è più sfumata, per necessità di cose, di quella dell’ Alleghe comune. “Se le cose continuano così è meglio dividersi. Milano e gli altri si facciano pure il loro campionato europeo, come hanno in mente, portino l’ hockey a Roma, dove gli pare. Noi delle Valli faremo un altro campionato, di tutti italiani”.