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BELLUNO Presso Palazzo Crepadona si è svolta l’Assemblea per l’80° anniversario di Confindustria Belluno Dolomiti che ha celebrato un traguardo storico per l’imprenditoria locale, ricordando le sue radici e proiettandosi verso le sfide globali. Le parole della presidente Lorraine Berton: «non si festeggiano solo 80 anni di storia, ma 80 anni di scelte che hanno costruito il futuro», ricordando la nascita dell’associazione nel luglio 1945, quando, in una provincia ferita dalla guerra, un gruppo di imprenditori decise di dare inizio alla ricostruzione. Eventi tragici come il Vajont, l’alluvione del 1966 e Vaia non hanno fermato l’industria bellunese che, anzi, ha trasformato anche i momenti di intensa fragilità e isolamento geografico in un modello di sviluppo capace di portare il Made in Italy nel mondo. Per Berton, Belluno è «un territorio che non subisce ma reagisce», grazie anche a nuovi investimenti nella formazione, dall’arrivo della Luiss Business School in centro città, ai nuovi ITS, al progetto “Dolomiti Innovation Valley”, fino a una collaborazione in divenire con la facoltà di informatica dell’Università di Verona. Preoccupa il calo demografico «perdere mille abitanti all’anno è una sfida enorme» e per questo, ribadisce Berton, «ai giovani dobbiamo dire: “i vostri talenti qui hanno valore” e rendere attrattivo questa provincia come luogo da vivere». Le Olimpiadi 2026 diventano acceleratore di modernità, occasione per infrastrutture e connessioni finalmente all’altezza di un territorio che “può volare”. Centrale anche il lancio della “Fabbrica dei contenuti”, nuovo strumento per raccontare le eccellenze territoriali a un pubblico globale proprio in vista dei Giochi Milano Cortina 2026, mostrando le Dolomiti come luogo ideale di vita oltre che di turismo. Durante la serata, per dare uno sguardo internazionale e una formazione attenta, sono intervenuti l’analista geopolitico Dario Fabbri e il professore Filippo Maria Giordano, che hanno discusso di crisi demografica, dazi, guerre e tensioni di un mondo sempre in evoluzione. La serata è stata inoltre occasione per rendere omaggio alle imprese che hanno costruito il tessuto produttivo dolomitico grazie ai riconoscimenti consegnati dal Gruppo Giovani Imprenditori, guidato da Michele Da Rold. Premiati: Impresa Bortoluzzi Celeste srl, Cinema Italia, Colorificio Paulin spa, De Bona srl, Dolomiti Bus SpA, Fratelli Saviane di Pompeo srl, Gatto Astucci Spa, Giorgio Fedon e Figli Spa, Impresa Silvio Pierobon srl, Ioves spa, Monti Spa, NPE srl, Reno De Medici Spa, Safilo spa, Segherie Bellunesi Fratelli Collarin srl, Sosvi Meccanica srl, Sponga Giancarlo. Premi speciali sono stati consegnati dalla presidente Berton e dal direttore Andrea Ferrazzi al presidente onorario Angelo Funes Nova, per la sua instancabile dedizione, che ancora oggi lo porta a ordinari controlli in sede e ad Antonio Francesco Bortoli, “quasi ex” direttore di Lattebusche, premiato per aver trasformato in 51 anni una piccola latteria locale nella più grande cooperativa lattiero-casearia del Veneto. La serata si è chiusa con la presentazione del libro che racchiude gli 80 anni di storia di Confindustria Belluno Dolomiti che racconta come «nulla, in questa provincia, è nato per caso», unendo memoria, visione e responsabilità di un territorio che continua a costruire futuro.
L’INTERVISTA AD ANTONIO FRANCESCO BORTOLI
BELLUNO Cinquantun anni alla guida di Lattebusche non sono solo una carriera: sono un pezzo di storia economica e sociale delle Dolomiti. Il riconoscimento consegnato al ’”quasi ex” direttore Antonio Bortoli durante l’Assemblea dell’80° anniversario di Confindustria Belluno Dolomiti non è stato quindi un semplice premio, ma il simbolo di un passaggio di testimone, di una vita professionale segnata da trasformazioni, intuizioni e scelte che hanno cambiato il destino di un’intera filiera. In un momento tanto significativo, Bortoli racconta il suo vissuto con una serenità che nasce solo quando si sa di aver lasciato un segno profondo. Ecco la conversazione integrale
Questo è un premio che si aggiunge a una serie di premi, però lo vedo molto importante. Importante perché segna un momento di passaggio per lei, un momento anche di “lasciare andare” dopo tanti anni di carriera. Come si sente, non da un punto di vista razionale o professionale, ma emotivo?
L’emozione c’è, è inevitabile dopo 51 anni di direzione, sempre nella stessa azienda. Lattebusche è cambiata non so quante volte in questi decenni. È una sensazione particolare, certo, ma la scelta è stata mia, calibrata e corretta: bisogna far crescere anche altre persone. Abbiamo trovato qualcuno che potrà continuare il percorso che l’azienda ha intrapreso – riferendosi a Michele Miotto ndr – e forse anche migliorarlo. Quindi sì, sono sereno. Ho il cuore in pace.
Chiude con il cuore in pace. Che bella cosa!
Sì, comunque non sarà uno strappo netto: sia la proprietà sia il nuovo direttore generale mi hanno chiesto di collaborare ancora per un po’. Lui arriva da un’impresa industriale, che è diversa da una cooperativa. Io, pur guidando una cooperativa, sono sempre stato vicino al mondo industriale: siamo pur sempre un’impresa sul mercato. E quindi sviluppo, crescita, competitività rimangono gli stessi obiettivi. Il riconoscimento ricevuto mi ha fatto davvero piacere. Ringrazio la presidente e tutta l’associazione per aver voluto gratificarmi alla fine di questo lungo percorso.
Cinquantun anni nella stessa azienda non sono tutti uguali. Qual è stata la sua prima mansione a Lattebusche? Da dove è partito?
Ho iniziato durante l’università come impiegato, ma già prima mio padre mi faceva lavorare nei magazzini. Conoscevo la cooperativa, ma non avevo idea di cosa mi aspettasse. Dopo un periodo complicato per il settore lattiero-caseario, negli anni ’70 abbiamo dovuto cambiare strada. L’assessore regionale dell’epoca, Giulio Veronese, mi suggerì di lavorare tutto il latte della provincia assieme e portarlo fuori. Le altre cooperative non accolsero l’idea, ma il nostro Consiglio direttivo sì. E lì è cambiato tutto.
C’era già una grande modernità in quel cambiamento.
Certo. Abbiamo cambiato nome, perchè era impossibile ricordare quello precedente, “ Latteria Sociale Cooperativa della Vallata Feltrina”, e siamo diventati quindi Lattebusche. Abbiamo scelto colori innovativi: l’azzurro per la freschezza, il viola per la genuinità e le radici. Abbiamo comunicato, sponsorizzato, fatto conoscere il marchio.. quello che oggi si chiama “marketing”. Non avevamo troppi soldi, ma tante piccole iniziative hanno creato identità e riconoscenza nel territorio, che è sempre stato la nostra stella polare.
La presidente di Confindustria Belluno Dolomiti, Lorraine Berton, ha parlato della particolarità – e difficoltà – del territorio bellunese. Come è riuscito nel ruolo di direttore a trasformare questa fragilità della montagna in un punto di forza?
Centrale nel mio pensiero è stato quello di trasmettere la consapevolezza di essere piccoli e deboli. Dalla consapevolezza è nata l’azione. La qualità doveva essere altissima, ma non bastava: serviva innovazione. Abbiamo ampliato l’offerta: latte, yogurt, freschi. Abbiamo valorizzato il Piave, fino a farlo diventare una DOP. Siamo usciti dalla provincia, perché il territorio da solo non poteva sostenere i produttori. Prima alleanze con privati, poi fusioni: 23 realtà unite nel tempo. E nel 2024 abbiamo registrato tre record: latte lavorato, fatturato e redditività per i produttori. È stato un percorso impegnativo, ma gratificante.
Ultima domanda. Lei ha lavorato 51 anni nella stessa azienda. Oggi molti giovani cambiano lavoro dopo pochi anni. Cosa è cambiato e come si costruisce quella resilienza che permette di restare?
Se non si è proprietari, è difficile restare senza avere spazio per pensare e progettare. Questo manca ai giovani oggi. Io nella mia storia professionale ho avuto la fortuna di avere presidenti, 4 in totale, e consigli che hanno condiviso le mie idee, anche quando erano scelte rischiose o controcorrente. Abbiamo discusso tanto, ma le proposte, fusioni comprese,sono sempre passate. Ogni fusione cambiava tutto: persone nuove, obiettivi diversi. Negli anni l’azienda si trasformava, e questo mi dava stimoli continui. Poi la vita personale ha aiutato: vivere a 5 km dal lavoro, una famiglia qui, tre figli. Ma la vera spinta era la diversità quotidiana. Ogni giorno era diverso dal precedente.
Qual è il giorno della pensione ufficiale?
Sono ufficialmente in pensione da 17 anni! Però il giorno del “rilascio definitivo” non lo so ancora.
Ma come, non ce lo dice? Non vuole che le facciamo una bella festa?
Ho già mandato le dimissioni, ma sia il nuovo direttore sia la proprietà mi hanno chiesto di restare ancora un po’ e allora, se proprio devo – dice sorridendo con la carica di chi ha la stessa passione del primo giorno – rimarrò ancora un po’!
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