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La tormentata vicenda del distributore di benzina Agip di Via Vittorio Veneto a Belluno, mi ricorda la storia di un cugino di mio padre Andrea. Si chiamava Giuseppe Pettazzi ed era ingegnere. Ebbero fraterni rapporti ed io tuttora sono in contatto coi suoi quattro figli che risiedono a Rapallo. Egli trascorse in Africa un periodo importante della propria vita. Giunto ad Asmara, in Eritrea, l’Africa equatoriale italiana, si dedicò alla realizzazione di costruzioni che dire futuriste sarebbe riduttivo. Era fortemente convinto dalle possibilità costruttive del cemento armato. Tanto da realizzare, tra molti altri manufatti, la stazione di servizio della Fiat Tagliero, caratterizzata da una torre entrale, con ufficio e negozi, e da due ali laterali ospitanti le pompe, che si sporgono con un unico sbalzo di 15 metri. In tal modo Giuseppe realizzò, nel 1938, uno degli edifici tecnicamente più arditi di sempre. Esso doveva rappresentare un aereo in fase di decollo, mezzo moderno ed ammirato dal movimento futurista, che venne sopranominato, per le sue forme ardite ed ipermoderne, “astronave coloniale”. Si racconta che, quando arrivò il momento di togliere le armature di sostegno delle due ali, il capomastro si rifiutasse di farlo, temendo che esse non reggessero e si piegassero su se stesse. Allora l’ing. Giuseppe gli puntò contro la propria pistola (era anche ufficiale dell’esercito) dicendogli: “Se non le togli, ti sparo nelle tempie, ma se dovessero davvero crollare, la rivolgerò contro me stesso!”. Circostanza sempre negata dalla moglie Giovanna, ma ormai avvolta da un’aura di leggenda. Incredibilmente l’edificio è ancora perfettamente conservato e funzionante, nonostante Asmara abbia attraversato fasi storiche caratterizzate da episodi di distruzione sistematica di qualunque edificio che ricordasse la dominazione italiana. Quindi grazie anche alle opere di Giuseppe Pettazzi Asmara è ora divenuta Patrimonio Unesco dell’Umanità come “città modernista d’Africa”, in riferimento appunto alla sua struttura urbanistica, che porta la firma degli architetti italiani di fine ‘800 e soprattutto del Ventennio. Giuseppe fu poi travolto dalla disfatta italiana in Africa; fatto prigioniero dagli Inglesi, passò tremendi lunghi anni di campo di concentramento in India. Rientrò in Italia solamente nel Natale 1946. Sposò Giovanna che lo attese per tutta la vita e gli diede quattro figli. Visse a Rapallo fin quando morì nel 2001.
Tomaso Petazzi