Tra il 2025 e il 2029, si stima che poco più di 291.000 lavoratori veneti (pari al 13 per cento circa del totale regionale) lasceranno definitivamente gli uffici e le fabbriche per andare in pensione. La quasi totalità lo farà per questo motivo; tuttavia, una piccola minoranza non timbrerà più il cartellino anche per altri motivi, quali il ritiro volontario, la perdita dell’impiego, l’emigrazione all’estero o il passaggio dal lavoro dipendente a quello autonomo e viceversa.
Anche in Veneto, come nel resto del Paese, nel giro di qualche anno assisteremo a una vera e propria “fuga” da scrivanie e catene di montaggio. Un “esodo” mai visto fino a ora, con centinaia di migliaia di persone che passeranno dal mondo del lavoro all’inattività con conseguenze sociali, economiche ed occupazionali di portata storica per la nostra regione.
Lo sanno bene gli imprenditori veneti che già adesso faticano a trovare personale disponibile a recarsi in fabbrica o in cantiere. Figuriamoci fra qualche anno, quando una parte importante della platea dei lavoratori attivi lascerà l’occupazione, in particolare per raggiunti limiti di età.
A dirlo è l’Ufficio studi della CGIA che ha estrapolato i dati emersi dalla periodica elaborazione realizzata dal Sistema Informativo Excelsior, realizzato da Unioncamere in collaborazione con il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali.
Le uscite più numerose in Lombardia, Lazio e Veneto
In valore assoluto, le regioni più coinvolte dalla domanda di sostituzione saranno quelle, ovviamente, dove la popolazione lavorativa è più numerosa e tendenzialmente ha una età media più elevata. Al primo posto scorgiamo la Lombardia che sarà chiamata a “rimpiazzare” 567.700 lavoratori. Seguono il Lazio con 305.000 e il Veneto con 291.200. E’ altrettanto importante notare che questo fenomeno interesserà, in particolare, il settore del lavoro dipendente privato. Le maestranze private lombarde saranno le più “interessate” del Paese; quasi due su tre, per la precisione il 64,6 per cento del totale regionale sarà da rimpiazzare. Seguono i dipendenti dell’Emilia Romagna (58,6 del totale) e quelli del Veneto (pari al 56,5 per cento del totale). In termini assoluti gli occupati privati veneti da sostituire saranno 164.400 (vedi Tab. 1).
Un paese sempre più vecchio: le aziende si ruberanno i dipendenti migliori
In stretta relazione alle uscite dal lavoro per raggiunti limiti di età c’è anche il progressivo invecchiamento dei dipendenti privati presenti nel nostro Paese. A tal proposito è interessante analizzare l’andamento dell’indice di anzianità. Se a livello nazionale nel 2021 la quota era del 61,2, nel 2022 è aumentata al 62,7 per attestarsi nel 2023 al 65,2 (+ 4 punti in soli due anni). Questo vuol dire che, rispetto all’ultima rilevazione, in Italia ogni 100 dipendenti sotto i 35 anni ce ne sono 65 che hanno oltre 55 anni. Le cause di questa tendenza sono numerose – pochi ingressi nel mercato del lavoro dei giovani rispetto alle fasce anagrafiche che superano la soglia dei 55 anni e una più prolungata permanenza nei luoghi di lavoro degli addetti in età avanzata – e tutte contribuiscono a innalzare questo indicatore verso valori di criticità. Senza contare che anche in Veneto la domanda e l’offerta faticano a incrociarsi. Spesso i giovani che sono alla ricerca di un’occupazione presentano un deficit educativo ed esperienziale notevole rispetto alle abilità professionali richieste dalle attività economiche. Tra qualche anno, quando centinaia di migliaia di lavoratori con elevata esperienza e professionalità dovranno essere sostituiti, gli imprenditori veneti, non trovandoli sul mercato, non avranno alternativa. Dovranno contendersi i migliori dipendenti dei concorrenti, offrendo a questi ultimi incrementi salariali significativi. Dando luogo a forme più o meno simili al ricatto, dove titolari d’azienda e dipendenti cercheranno di prevalere per ottenere il massimo vantaggio personale, spesso in modo poco onorevole.
L’anzianità delle maestranze è un problema soprattutto per gli imprenditori delle regioni più piccole
Ad oggi, la regione che presenta l’indice di anzianità dei dipendenti privati più elevato è la Basilicata (82,7). Seguono la Sardegna (82,2), il Molise (81,2), l’Abruzzo (77,5) e la Liguria (77,3). Il dato medio nazionale, come ricordavamo più sopra, è pari al 65,2. Le regioni meno “colpite” da questo fenomeno – anche se già da alcuni anni fanno comunque i conti con questa grave criticità – sono l’Emilia Romagna (63,5), la Campania (63,3), il Veneto (62,7), la Lombardia (58,6) e il Trentino Alto Adige (50,2) (vedi Graf. 1).