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FINE SETTEMBRE
AUDIO
Fumare di camini sul far della sera, quando la luce va scemando e il vespertino suono della campana si diffonde placido fra le montagne che in silenzio attendono la notte. Pennacchi dapprima bianchi e poi grigi si alzano pigri dai tetti fino a perdersi nel cielo autunnale. È di sera che l’autunno si palesa a uomini e montagne. Di giorno sta nascosto, ancora sovrastato da guizzi di un’estate che fatica a mollare la presa. Estate che illude di esserci ancora, che tenta di rinnovare il suo tempo ormai sfiorito. Poi, ai rintocchi dell’Ave Maria, s’arrende all’incipiente stagione dei larici colorati d’oro. Al tempo dell’inizio del mutare dei boschi, accade di
girare un crinale e sentire arrivare il vento a dirti che l’estate è ormai un ricordo lontano. Non un vento gelido, solo freddo, che ti fa chiudere il piumino e alzare il cappuccio. Un vento che muove l’erba e le nuvole e poi il cielo, che si apre e si chiude, con il tempo che sembra fluttuare fra una stagione e l’altra. Lassù in alto le cime sembrano chiamare neve, che l’inverno in quota può presentarsi ad ogni istante. E i prati sono stanchi, l’erba sembra voler riposare mentre laggiù lontano all’orizzonte, certe cime appena imbiancate fanno da sfondo alle valli che giorno dopo giorno si tingono dei colori autunnali. Le ombre si allungano inscurendo le verticali pareti di roccia che sovrastano i paesi e le strade. Poi la sera che arriva, annunciata dal bramito dei cervi e dal fumare lento dei camini; sono così certi giorni d’autunno in montagna, al tempo in cui i faggi iniziano ad arrossire. Li ricordo quei giorni lontani, giorni di tabià colmi di fieno e campi ormai messi a riposo e di legna ben stipata, pronta per i primi fuochi accesi nel tardo pomeriggio. Si rilassavano gli uomini e si tingevano i boschi mentre le ombre della sera si distendevano sul paese poco prima dei cinque rintocchi di campana. Poi erano lunghe sere riscaldate dal fuoco amico, erano donne e uomini che prima di abbandonarsi al sonno si raccontavano l’autunno. Era il tempo di un dolce tepore che scaldava la casa, e bastava solamente qualche ora di fuoco nella cucina economica. Non era ancora il momento della prima accensione del fornel, evento che sanciva l’inizio dell’infinito inverno di montagna che lassù, di fronte al Pelsa, aveva inizio all’appassire dei nuovi fiori portati in cimitero durante il malinconico giorno dei Morti. Il fornel avrebbe riposato ancora per un mese e nella cucina economica avrebbero bruciato legna di abete, quella utile a regalare quei quattro/cinque gradi in più che facevano stare bene. La vita rallentava, e nel frattempo il maiale ingrassava e la vacca assaporava quel fieno che era costato fatica e preghiere affinché non piovesse mentre seccava sui prati rasati riscaldati dal forte sole d’inizio luglio. A fine settembre aveva inizio un tempo pacato, lento, che invitava al riposo dopo le fatiche estive. Un tempo carico di lunghi attimi trascorsi in compagnia del fuoco amico. Era fumare di camini all’ora del tramonto, era il diffondersi di struggenti serali silenzi.
In montagna, alla fine di settembre è davvero autunno.
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