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Oggi sul Corriere delle Alpi l’amministrazione comunale di Feltre “piange il morto”: mantenere in vita il palaghiaccio costa, e l’energia elettrica — si sa — non la regala nessuno. Parole che suonano come una tardiva presa di coscienza, considerando che la struttura è notoriamente energivora e complessa da gestire. Lo stesso Comune ammette che, una volta completato l’ampliamento e l’ammodernamento, “resta aperta la questione dell’efficienza energetica, cruciale per rendere sostenibile la gestione ordinaria”. Insomma, solo ora ci si accorge che il problema non è costruire, ma mantenere. Eppure, nonostante i precedenti di Feltre, Alleghe e Zoldo, c’è ancora chi a Belluno insiste nel voler realizzare un nuovo palaghiaccio, dimenticando il fallimento clamoroso della struttura di Lambioi, abbandonata dopo le Universiadi del 1985. Stesso fallimento ad Agordo, miliardi di lire spesi per un impianto poi non più entrato in funzione e l’allora assessore diceva… che era il futuro. Infatti versa in stato pietoso. Forse queste dichiarazioni dovrebbero servire a far rinsavire gli amministratori pro tempore, prima di lasciare in eredità mutui, costi e debiti a chi verrà dopo. Perché la storia, in provincia di Belluno, sembra non insegnare mai abbastanza.
ndr L’espressione “piangere il morto” è un modo di dire figurato, tipico del linguaggio popolare e giornalistico. Significa lamentarsi o indignarsi troppo tardi, quando ormai il danno è fatto o una situazione è diventata irreversibile. Nel caso “l’amministrazione comunale di Feltre piange il morto” vuol dire che ora si accorge — e si lamenta pubblicamente — dei costi altissimi di gestione del palaghiaccio, ma solo dopo aver sostenuto e portato avanti il progetto senza risolvere prima i problemi strutturali ed energetici.