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REDAZIONE
Arrivato questa mattina in redazione, l’intervento di un ascoltatore ha dato voce a un malessere diffuso, un sentimento ormai condiviso da chi ogni giorno affronta la strada che collega l’Agordino al Parco Nazionale delle Dolomiti Bellunesi per raggiungere il posto di lavoro. Una viabilità segnata da frane, smottamenti, alberi pericolanti, attraversamenti di fauna selvatica e un senso generale di abbandono che dura da anni.
“Abbiamo messo i cartelli”, “abbiamo installato i segnalatori”, “non possiamo intervenire perché è zona protetta”: queste, denunciano molti automobilisti, sono le risposte che si sentono ripetere da tempo. Ma la pazienza è finita. «È mai possibile che non si riesca a guardare oltre i confini del Parco per capire come altrove si interviene davvero?» scrive l’ascoltatore.
La rabbia monta, alimentata da incidenti, drammi sfiorati, ritardi, pericoli quotidiani e una burocrazia che sembra paralizzare ogni azione concreta. La misura, si legge nel messaggio, è ormai colma: “La pentola è in ebollizione e il coperchio rischia di saltare”. C’è chi invoca una presa di posizione forte delle istituzioni locali, chi parla apertamente di proteste e manifestazioni davanti alla sede del Parco, alla Prefettura e agli enti competenti in materia di sicurezza e gestione del territorio.
Un grido che arriva da chi non chiede miracoli, ma buon senso, manutenzione e risposte. Perché la tutela ambientale – ricordano in molti – non può essere usata come scudo per giustificare l’inerzia, né come alibi per ignorare i rischi di chi, ogni giorno, su quelle strade ci vive e lavora.
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