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NOVEMBRE A BELLUNO
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La bruma novembrina, che al mattino presto si alza dal Piave, è preludio del quotidiano lento risveglio della Città Splendente. All’alba, Belluno si desta lentamente dal lungo sonno delle fresche notti di metà autunno. La Piccola Città non possiede la frenesia delle metropoli nelle quali il frenetico vivere non si ferma mai. Il tempo notturno del capoluogo non è pregno di quel vivere ostinato proprio delle grandi città di pianura. Non ci sono sirene, autobus, chiarore invadente di insegne luminose e traffico continuo. A Belluno, di notte regna un silenzio che sa di paese perché Belluno, in fondo, è un grande paese collocato alla testa della Valbelluna, fra il Piave e la Schiara. Durante le ore notturne, a parlare con voce chiara e tranquilla, è solamente l’acqua delle numerose fontane presenti nel quieto centro storico. Quando la bruma autunnale si è alzata dal letto del fiume e i primi raggi del sole iniziano a sciogliere la brina che ha imbiancato i tetti e i prati, ha inizio il quotidiano vivere novembrino. Al principio dell’undicesimo mese, in centro si respira profumo di castagne e di legno di cirmolo. È tempo di San Martino, di quella domenica speciale in cui il cuore della città si popola di uomini e bancarelle e aromi e colori che sanno d’autunno. In quei freschi primi mattini, per circa tre quarti d’ora è trambusto d’auto che muovono in direzione del capoluogo, è vociare allegro di studenti appena scesi dalle corriere provenienti dai paesi limitrofi, è camminare frettoloso di donne e uomini eleganti che si dirigono verso uffici e banche. Poi, dopo che la campana della chiesa di Loreto ha battuto otto rintocchi, tutto si acquieta e la vita della città prende un ritmo decisamente più blando. È l’andare e venire degli autobus a scandire il tempo di quelle mattine di tigli ormai spogli, di fogliame che colora i marciapiedi, di brina che resiste negli angoli in ombra. Poco prima delle tredici la città si ridesta dal dormiveglia del mattino. Un fiume di studenti si getta in strada immediatamente dopo il suono delle campanelle, invadendo allegramente le vie che conducono alla stazione. Uno scorrere impetuoso di gioventù impaziente di intraprendere la via di casa, un tempo di corriere che lasciano la città portando via l’allegro chiacchierare dei ragazzi. Il pomeriggio novembrino dura il tempo di un freddo respiro di quasi inverno. Poco dopo le sedici ha inizio il tramonto che infuoca l’orizzonte sud. Il sole che scende sempre più in basso all’orizzonte mentre il Piave scorre tranquillo sfiorando la Città Splendente. Nei momenti che precedono l’arrivo della sera il fiume sembra voler raccontare le sue storie di guerra e zattieri. E sono racconti di eroici fanti della Grande Guerra e di tronchi centenari che arrivavano fino a Venezia. Poi, per qualche istante, il fiume si trasforma in un lucente nastro d’oro che scorre al centro della Valbelluna, e mentre si ammira questo prodigio di profondo autunno viene voglia di cantare l’ultima strofa di un bel canto tutto bellunese;
Oh Val Beluna!!
Che de compagne ‘no ghe nè nesuna!
E a fondoval ghe pasa ‘l Piave
che ha la so storia da contar…
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