Siamo entrati nel periodo delle festività natalizie e, come ogni anno, aumenta il rischio di usura. Nelle settimane che precedono il 25 dicembre, infatti, molte famiglie italiane ricorrono al credito al consumo (prestiti personali, dilazioni di pagamento, “buy now, pay later” e rateizzazioni), per far fronte alle spese legate ai regali e ai consumi natalizi. L’incremento delle spese coinvolge anche gli artigiani e i piccoli commercianti che, a differenza dei lavoratori dipendenti e dei pensionati, non dispongono né di entrate certe né della tredicesima mensilità.
In altre parole, le festività generano pressioni sociali – regali, cene, doni e impegni percepiti spesso come “necessari”, anche a chi si trova in difficoltà economiche. Tale situazione induce molte persone a ricorrere a prestiti per non deludere le aspettative, determinando un aumento dell’accesso al credito che frequentemente assume anche forme illegali.
A dirlo è l’Ufficio studi della CGIA.
Sono in aumento le aziende insolventi
Se nel periodo natalizio il rischio usura tende ad aumentare anche per le piccole attività economiche, i dati relativi alle insolvenze ci evidenziano un altro grosso problema: la mancanza di liquidità che attanaglia molti piccoli imprenditori. Dopo la contrazione registrata nel periodo Covid, da due anni a questa parte le aziende con sofferenze sono tornate a crescere (vedi Graf. 1). Al 30 giugno 2025 il numero complessivo in Veneto ha toccato le 8.585 unità (+4,8 per cento rispetto allo stesso periodo del 2024). Tra tutte le regioni del Nord Italia, solo la Valle d’Aosta ha registrato una crescita percentuale superiore alla nostra (vedi Tab. 1). Questa platea di cattivi pagatori è costituita in massima parte da lavoratori autonomi, artigiani, esercenti, commercianti o piccoli imprenditori che sono “scivolati” nell’area dell’insolvenza e, conseguentemente, sono stati segnalati dagli intermediari finanziari alla Centrale dei Rischi della Banca d’Italia. Ricordiamo che, per legge, questa “classificazione” impedisce a
questi operatori economici di accedere a un nuovo prestito.
• La situazione è fortemente peggiorata a Rovigo e Padova
A livello provinciale, il numero più elevato di imprese segnalate come insolventi si concentra a Padova. Al 30 giugno scorso lo stock ammontava a 1.850 unità. Subito dopo scorgiamo Verona con 1.658, Vicenza con 1.637 e Treviso con 1.447. Rispetto a 12 mesi prima, la variazione di crescita in termini percentuali ha interessato, in particolare, Rovigo con il +13,4 per cento di imprese con sofferenze e Padova con il +11,2 (vedi Tab. 2).
• Molte aziende insolventi anche perché non pagate
Chi finisce nella black list della Centrale dei Rischi difficilmente può beneficiare di alcun aiuto economico dal sistema bancario, rischiando, molto più degli altri, di chiudere o, peggio ancora, di finire tra le braccia degli usurai. Per evitare che questa criticità si diffonda, la CGIA continua a chiedere con forza il potenziamento delle risorse a disposizione del “Fondo di prevenzione dell’usura”. Strumento, quest’ultimo, in grado di costituire l’unico valido aiuto a chi si trova in questa
situazione di vulnerabilità. È bene ricordare che gli imprenditori che vengono segnalati alla Centrale Rischi della Banca d’Italia non sempre lo devono a una cattiva gestione finanziaria della propria azienda. In moltissimi casi, questa situazione si verifica a seguito dell’impossibilità da parte di molti piccoli imprenditori di riscuotere con regolarità i pagamenti dei propri committenti o per essere “caduti” in un fallimento che ha coinvolto proprio questi ultimi.
• Il rischio usura si espande anche a causa della stretta creditizia
Ad eccezione degli anni caratterizzati dalla crisi pandemica, dal 2012 ad oggi sono crollati i prestiti bancari alle imprese venete. A fronte dei quasi 100 miliardi di euro di impieghi vivi erogati verso la fine del 2011, siamo scesi a poco più di 60 miliardi nel giugno 2025. In 13,6 anni le imprese della nostra hanno perso 40 miliardi di prestiti bancari, pari al -39 per cento. Le più penalizzate sono state le piccolissime imprese con meno di 20 addetti che hanno visto ridursi della metà i prestiti. Da 21 miliardi sono scesi a poco meno di 10 (vedi Graf. 1).
Gli effetti della crisi dei debiti sovrani (2012-2013), le restrizioni normative imposte dalla BCE alle banche per limitare la proliferazione degli NPL e, in parte, anche il calo della domanda di credito, sono le cause di questa caduta verticale. Senza contare gli effetti negativi che sono stati causati dalla chiusura di Veneto Banca e della Popolare di Vicenza. Pertanto, non è da escludere che la stretta praticata dal sistema bancario abbia contribuito a “spingere” involontariamente molti lavoratori autonomi e altrettanti piccoli imprenditori a corto di
liquidità verso le organizzazioni criminali che, mai come nei momenti difficili, hanno la necessità di reinvestire i denari provenienti dalle attività illegali.






