di Damiano Tormen
Prova di idoneità professionale, 129° sessione presentato all’ordine dei giornalisti consiglio nazionale, per l’ammissione a giornalista professionista.
La radio dà la notizia, la televisione la mostra, il giornale la spiega. La vecchia regola sembrerebbe superata con l’avvento di internet, in grado di fare tutte e tre le operazioni contemporaneamente, per di più con lo stesso media. Invece, basta (si fa per dire) un evento meteo eccezionale per stravolgere la situazione.
È successo a fine ottobre, tra domenica 28 e martedì 30, in provincia di Belluno. Un’autentica bufera d’acqua e di vento si è abbattuta sulle Dolomiti. Ha colpito tutta la zona montana e in maniera particolare l’Agordino, un territorio di 21mila abitanti, 16 Comuni, attraversato dal torrente Cordevole e noto soprattutto per gli stabilimenti Luxottica, e per località sciistiche come Alleghe, Arabba e Falcade (segnate da montagne come il Civetta e le Pale di San Lucano).
La tempesta che i meteorologi hanno chiamato “Vaia” ha provocato anche cinque vittime nel Bellunese. E ha fatto il giro del mondo con le immagini della “strage di alberi”. Foreste abbattute come fossero stuzzicadenti. La catastrofe del vento ha sradicato e spezzato quasi il 40 per cento del patrimonio boschivo dell’intera provincia di Belluno, tra i 10 e i 14 milioni di metri cubi di piante nel Nordest, secondo le stime di Coldiretti («vale a dire la quantità di legname che tutte le segherie italiane insieme sono in grado di lavorare in sette anni», fa sapere Confartigianato Belluno).
Non solo disastro dei boschi: strade squarciate, case scoperchiate, tralicci abbattuti; molti paesi sono rimasti isolati e muti, niente linee telefoniche, né internet per quasi una settimana. L’unica voce è stata quella di una radio locale: Radiopiu ha tenuto collegati tra loro i piccoli centri montani. Non solo ha fatto “parlare” tra di loro gli abitanti della zona, che si sono potuti scambiare informazioni, ma ha anche raccontato la devastazione al resto della provincia di Belluno.
DIRETTA A TUTTI I COSTI
Tra le zone più flagellate, proprio l’Agordino, il bacino d’utenza principale di Radiopiu. Alle prime avvisaglie della tempesta, molti paesi sono rimasti isolati, in completo black-out elettrico.
«Tutti a comprare radioline a pile» racconta Mirko Mezzacasa, giornalista e direttore di Radiopiu. Tra mille difficoltà l’emittente radiofonica ha continuato a trasmettere. Da sola, quasi eroicamente. «Ci siamo trovati a essere parte della notizia, visto che anche a noi il maltempo ha provocato danni ingenti – continua Mezzacasa -. Frane e vento ci hanno abbattuto tutti i ripetitori e siamo rimasti in black-out. Con mezzi di fortuna e con l’aiuto dei gruppi elettrogeni, siamo riusciti a continuare a trasmettere. E a descrivere la situazione sia a quelli che restavano isolati nei loro paesi, sia ai bellunesi del resto della provincia. Siamo sempre stati una radio di servizio, nata proprio per collegare le frazioni dell’Agordino; e in quei giorni ancora di più. Abbiamo fatto girare le notizie per agevolare le operazioni dei soccorritori. Abbiamo dato una mano alla Protezione Civile. Abbiamo raccolto le voci degli sfollati e dato informazioni sulle chiusure delle strade. Siamo stati l’unica voce che entrava nelle case degli agordini».
Tutto grazie a un paio di postazioni radio, ripristinate in maniera artigianale dai tecnici. E anche grazie alle dirette Facebook, l’unico mezzo utile per trasmettere audio e video fuori dall’Agordino.
«Da fuori vallata non sopraggiungevano segnali per televisioni e radio, così abbiamo avuto l’etere libero e potevamo trasmettere in tutto l’Agordino, con due soli ripetitori attivi. Per raccontare il disastro al resto della provincia, abbiamo usato il canale social. C’era un problema, però: i telefonini non avevano campo. Abbiamo dovuto fare ogni giorno diversi chilometri in macchina, spostarci fuori vallata, per poter agganciare la linea 4G e descrivere la situazione al “resto del mondo”». In pratica, per alcuni giorni, Radiopiu è stata l’unico collegamento tra le frazioni dell’Agordino e il resto della provincia di Belluno. «Per tre giorni di fila non ho dormito» continua Mezzacasa. «Dovevamo continuare a dare informazioni, per far capire alle persone isolate che non erano sole, anche se si trovavano in mezzo al disastro».
LA TEMPESTA
Di autentico disastro si è trattato. Gli esperti del Centro Arpav (Agenzia regionale protezione ambiente del Veneto) di Arabba spiegano quello che è accaduto: un piccolo uragano, somigliante a quelli delle zone tropicali. Solo che sulle Dolomiti non si erano mai verificati eventi simili, almeno a memoria d’uomo.
Tra il 28 e il 30 ottobre 2018, si sono sommate le condizioni necessarie a creare la tempesta del secolo. Precipitazioni eccezionali e raffiche di vento a 140-150 km/h (con punte di 192 km/h), frutto di una profonda depressione transitata sulle Alpi, fino a raggiungere un minimo barico eccezionale il giorno 29. Questo ha generato quella che i meteorologi descrivono come “forza traente”, capace di richiamare sull’alto Veneto un fortissimo vento di scirocco.
Le precipitazioni, abbondanti fin dal 28 ottobre, sono diventate da record tra il pomeriggio e la sera del 29. Alcune stazioni meteo hanno registrato punte orarie di 30-50 millimetri di pioggia. A Soffranco (Longarone) il pluviometro ha segnato 715,8 millimetri di pioggia in poco più di 48 ore (da notare che le medie degli ultimi anni fissano a poco più di 300 millimetri le precipitazioni totali dell’intero mese di ottobre); «vale a dire poco meno del quantitativo di acqua di un anno intero a Roma» sottolinea Robert Thierry Luciani, meteorologo Arpav. A Sant’Andrea di Gosaldo (nell’Agordino) le precipitazioni hanno raggiunto i 658 millimetri nell’arco dei tre giorni, mentre nel capoluogo Agordo la pioggia ha toccato quota 564 millimetri.