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Purtroppo, questi episodi si verificano sempre più spesso anche a causa del cambiamento climatico, ormai dimostrato essere causato dalle attività umane, che provocano il surriscaldamento dell’atmosfera e lo scioglimento del permafrost, vero e proprio collante delle nostre meravigliose Dolomiti. In questi giorni si ascoltano le discussioni degli esperti e le loro proposte per risolvere i problemi causati dal degrado in atto nella zona della Croda Marcora e del Sorapis. Un problema del tutto diverso, ma causato dalla stessa ragione – il riscaldamento globale con il conseguente innalzamento del livello del mare – ha interessato Venezia negli ultimi due secoli, grosso modo dall’inizio della rivoluzione industriale. Finalmente, con la realizzazione del Mose, si è giunti a un punto di svolta, uno spartiacque (parola appropriata) che dovrebbe procrastinare, seppur senza risolvere del tutto, il calvario di quel gioiello mondiale. Analogamente, si dovrebbe agire per quanto sta avvenendo lungo la valle del Boite. Si aggiunga che le difficoltà di mobilità, in senso lato, saranno ancora maggiori in vista delle prossime Olimpiadi invernali, e che la soluzione non potrà essere l’introduzione di navette da Longarone o da altri hub locali. Oltre a sperperare attualmente fiumi di denaro per ripulire ogni mattina ciò che la montagna deposita durante la notte, e all’impegno quotidiano di uomini e mezzi per prevenire ulteriori frane, qualunque sia la soluzione proposta (finora sono state suggerite una galleria in profondità nella sede detritica da San Vito a Zuel, un viadotto nello stesso percorso, oppure lo spostamento della strada sulla destra del Boite), a mio giudizio non si riuscirà a risolvere il problema. Questo perché, oltre a ciò, si aggiunge un fenomeno molto particolare: l’overtourism. Dai passi dolomitici alle cime montane, dai sentieri Cai e non solo, dai rifugi alle Alte Vie, fino alle strade di penetrazione del nostro territorio, stiamo assistendo a una progressiva paralisi negli spostamenti e soprattutto nella possibilità di godere del nostro magnifico paesaggio. Per non parlare della vita degli abitanti, quotidianamente sconvolta dalle migliaia di persone che, con auto e moto, lo invadono allegramente. Frane, traffico di automobili, autocarri e moto, iperturismo: sono complicazioni che si sommano e di fronte alle quali una galleria, un viadotto, uno spostamento stradale o l’introduzione di ticket, orari o chiusure alternate risultano solo dei palliativi inefficaci, incapaci di offrire soluzioni definitive. Di fronte a questa situazione destinata soltanto ad aggravarsi, c’è una sola possibilità di svolta: la ferrovia. Il Comitato per l’Anello Ferroviario delle Dolomiti propone da decenni la ferrovia come unica soluzione soddisfacente a tutte queste problematiche. Un mezzo che ogni giorno dimostra sempre più la sua modernità, la sicurezza nel difficile territorio montano, la capienza di trasporto, la sua sostanziale democraticità, la durata nel tempo della sua realizzazione e del suo valore, la flessibilità di trasporto a lungo e a corto raggio, e quindi la possibilità di eliminare gran parte del traffico automobilistico, diventando al contempo una vera e propria metropolitana di superficie. Purtroppo, la realtà ha finora dimostrato che le parole pronunciate dalla politica nostrana, così come da quella delle vicine province autonome, tradottesi negli ultimi dieci anni in roboanti incontri istituzionali, programmi, progetti e video emozionali, sono state vane e inconcludenti. Oggi, di fronte allo sconquasso che ci avvolge e che certamente ci travolgerà, si percepisce la sostanziale incapacità previsionale, che dovrebbe invece essere la caratteristica fondamentale di un politico. Abbiamo perso oltre dieci anni, anni che sarebbero stati sufficienti a prevenire i problemi.
Tomaso Pettazzi – Segretario del Comitato per l’Anello Ferroviario delle Dolomiti
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