Il Comune di Belluno gli ha intitolato la via che va dall’incrocio con la A. di Foro e la Cavarzano, fino alla villa Pietriboni; e nella pubblicazione “Toponomastica di Belluno” edita nel 1990, ricorda il personaggio così: “(1874-1950) Giurista e penalista eminente. Deputato dal 1912 al 1919 fu nominato sottosegretario alle terre redente. Antifascista, nel 1942 venne deferito al confino. Fu membro della Consulta nazionale”. Parliamo di Ernesto Pietriboni che la libera enciclopedia Wikipedia nel proprio sito cita così: “(Venezia, 10 luglio 1874 Venezia 15 dicembre 1950). E’ stato avvocato, giornalista e politico. Deputato durante la 24. e la 25. legislatura del Regno d’Italia, ricoprì la carica di Alto commissario aggiunto ai profughi, insieme a Salvatore Segrè Sartorio durante il governo Orlando. Fu successivamente l’ultimo segretario del Partito radicale italiano prima dello scioglimento imposto dal regime fascista. Massone, fu membro della Serenissima Gran Loggia del Rito simbolico italiano, della quale fu il rappresentante presso la giunta del Grande Oriente d’Italia dal 1921 al 1925”. Molto più dettagliato il sito ateneoveneto.org che ricorda subito che Pietriboni fu il 31. presidente dell’Ateneo, dal 1947 al 1950, il primo dopo la fine della seconda guerra mondiale, e cita Giovanni Zironda il quale, così si pronuncio commemorandone la figura nel primo anniversario della morte: “Non appena l’Italia fu riordinata nuovamente a libero regime e la volontà collettiva poté riaffermarsi in libere elezioni, vollero per primo presidente Ernesto Pietriboni la cui figura di cittadino di stampo antico, di studioso appassionato, di maestro nell’arringa professionale, nobile figura cui nei tempi della passata dittatura si ispiravano i nostalgici ricordi e le speranze per l’avvenire, balzò immediatamente al suo giusto posto”. Ed ecco in sintesi, dopo un colloquio con il nipote Ernesto, figlio dello scomparso avvocato Mario (del quale chi scrive queste note, da giovane cronista di giudiziaria per il Resto del Carlino prima e per Il Gazzettino poi, era estimatore e ne apprezzava molto le doti di umanità e professionalità – ndr.) il curriculum di questo bellunese di adozione e discendenza: Ernesto si laureò in giurisprudenza a Padova ma il giornalismo fu il suo primo campo d’azione; fondò e diresse negli anni universitari, nel 1892-93, il giornaletto satirico “Lo Studente di Padova”. Dopo la laurea collaborò prima a Venezia ne “Il Gazzettino’ fondato dal cadorino Giampietro Talamini; poi a Belluno, che fu la sua seconda casa, come redattore e direttore dal giugno 1896 del quotidiano di sinistra “Il Corriere Bellunese”, “affermandosi come acuto giovane dalle idee democratiche, giornalista dallo spirito battagliero e polemista, distinguendosi allo stesso tempo anche come oratore politico”. Abbandonato il “Corriere Bellunese” per dissensi politici nel 1897 tornò a Venezia a Il Gazzettino avviando contestualmente l’attività forense prima di lasciare il giornalismo fino alla sua elezione in Parlamento; fondatore e direttore del settimanale veneziano “Il Radicale” e direttore de “L’Adriatico” il quotidiano della Democrazia liberale. Come avvocato, carriera iniziata nel 1898 “e condotta con ardore e passione per molti anni, ottenne notevole fama e successo affermandosi come penalista capace e abile nei più importanti processi in Venezia e nel Veneto (come quello dell’assassinio della contessa Onigo nel 1903)” e per la sua preparazione e le doti di brillante oratore, “dialettico lucido, argomentatore sagace, appassionato, convincente (parole di Achille Bosisio – ndr.) fu anche studioso e autore di numerosi scritti e articoli riguardanti questioni giuridiche e sociali, diritto penale e processuale, apparsi sulle principali riviste forensi. Presidente del consiglio dell’ordine degli avvocati nel 1945, nel secondo dopoguerra fece parte della commissione nazionale per la riforma del codice penale. Abbraccio quindi la carriera politica quale esponente della parte democratica liberale. Salì alla ribalta nell’ottobre 1913 quando si candidò per il collegio di Belluno e fu eletto alla Camera. Finita la guerra si impegno assiduamente per la ricostruzione nel Veneto; fu anche sottosegretario al ministero delle Poste e telegrafi nel governo Nitti (1919-20). Con la marcia su Roma del 1922 si impose il fascismo e per l’intero ventennio Pietriboni abbandonò la politica per dedicarsi agli studi giuridici. Visse per lo più ritirato nella sua villa bellunese di Col Fiorito (oggi proprietà del nipote Ernesto Pietriboni, 48 anni, che l’ha ereditata dal padre Mario, mancato nel 1989) e per sfuggire alle persecuzioni e alle rappresaglia nazifasciste (già nel 1926 il suo studio veneziano era stato devastato e nel 1942, per alcune sua parole sospette era stato arrestato e incarcerato per una quindicina di giorni). Finita la guerra, fu vice presidente della Consulta nazionale e si candidò al senato senza successo nelle elezioni del 1948 anche se “negli anni in cui fu parlamentare aveva saputo dare prova di efficiente, onesta e proba condotta politica, umanità generosa, dedicandosi instancabilmente al bene pubblico e impegnandosi in favore della provincia montana di Belluno a favore della popolazione e per i problemi economici e sociali, in particolare quelli dell’agricoltura e della montagna”. Ancora: fu presidente del Consorzio Agricolo Provinciale e dell’Associazione Provinciale Agricoltori di Belluno, e del settore montagna della Consulta per l’agricoltura e le foreste delle Venezie. Gli ultimi anni della sua vita furono caratterizzati dalla presidenza all’interno dell’Ateneo Veneto. Pietriboni venne eletto socio il 7 giugno 1931 e presidente il 10 luglio 1947ed “ebbe il merito di guidare l’Ateneo negli anni della sua riorganizzazione e della sua ripresa, nel delicato momento della ricostruzione dell’intero paese, e di recuperare le energie e le forze, per far di nuovo muovere la macchina culturale dell’istituto”. Non riuscì tuttavia a portare a termine il mandato di presidente: già malato, la morte lo colse a Venezia il 15 dicembre 1950. Secondo la sua volontà, il corpo fu sepolto a Belluno e riposa nella tomba di famiglia nel cimitero di Cusighe.
NELLE FOTO (Google e Renato Bona): Ernesto Pietriboni in due versioni: la tabella con l’indicazione della via e la strada a lui dedicata dal Comune di Belluno; la Sede dell’Ateno Veneto di cui Pietriboni fu presidente; una delle pubblicazioni del nostro; copertina di quella più famosa sulla criminologia (di cui il nipote, anch’egli Ernesto, possiede l’originale); la tomba di famiglia nel cimitero bellunese di Cusighe dove è sepolto anche il figlio Mario che nella immagine successiva, degli anni Ottanta, è, sulla destra, nel vecchio tribunale in attesa di una sentenza, con il collega Antonio Feltrin ed il pubblico ministero Fabio Saracini, pure scomparsi, ed il cronista Renato Bona; la villa Pietriboni nella splendida località Col Fiorito.