ROGER DE MENECH
Sono oltre venti anni che conosciamo i problemi evidenziati dallo studio della Cgia di Mestre commissionato dalla Provincia. Ora, immagino, ci saranno reazioni le più disparate per attribuire le responsabilità a questa o quella amministrazione locale, provinciale o regionale, a difendere il proprio operato e a delegittimare quello degli avversari. La politica, come spesso avviene tende a guardarsi l’ombelico. Forse è il caso di dirsi due cose: la prima, per quante azioni siamo riusciti a intraprendere non hanno dato i risultati attesi, almeno in termini di contrasto dello spopolamento e dell’invecchiamento; la seconda, smettiamola con il confronto con le province autonome di Trento e Bolzano, almeno per due ragioni: non abbiamo avuto e non avremo mai le medesime condizioni di autonomia quindi è come comparare mele e ananas; l’abbandono della montagna è verso la pianura, le città e per quanto riguarda i giovani verso altri paesi prevalentemente europei, non verso le valli trentine o altoatesine. Le persone e le famiglie vanno dove si concentrano maggiori opportunità di lavoro, produzione di ricchezza, sociali, di salute, culturali, ecc.. Non a caso Belluno e l’intero sistema della Val Belluna costituiscono un argine debolissimo allo spopolamento generale. Eppure si può fare ancora molto, non sono convinto che siamo sul baratro. Dovremmo continuare nel riassetto istituzionale della provincia. La frammentazione amministrativa è moltiplicata dalla presenza di una pletora di soggetti come il Consorzio, le Unioni montane, due Gal che a loro volta si esprimono in vari ambiti ottimali. I processi decisionali sono di conseguenza lenti, frastagliati e talvolta conflittuali. In questo senso, un certo livello di pianificazione forse dovremmo recuperarlo perché altrimenti ciascuna amministrazione va per conto suo senza una visione unitaria e degli obiettivi comuni. C’è poi un lavoro da fare sul modello di sviluppo e sulle infrastrutture che lo sostengono. Siamo ancora una provincia ad alto tasso di manifatturiero. Sono almeno 15 anni che ci diciamo che questo modello porta quantità ma non qualità, difficilmente attrae lavoratori qualificati e competenze specialistiche per le quali i nostri giovani spendono anni sui libri nelle università. Dobbiamo avere la lungimiranza e l’umiltà di rivedere il modello di sviluppo per coniugare le innovazioni tecnologiche con i due settori che possono valorizzare le nostre unicità, cioè agricoltura e turismo. Una nuova generazione di bellunesi deve fare la scelta coraggiosa di ritornare a vivere la montagna reinventando il modo di coltivare la terra, di produrre attività artigianali e di fare ospitalità. Perché ciò accada, le precondizioni le deve creare il sistema pubblico, mantenendo alto il livello di investimenti come fatto negli ultimi cinque anni e portare a termine opere che da un lato facilitino i collegamenti tra la montagna e la pianura e dall’altro costituiscano un fattore di attrazione turistica ed economica, come la ferrovia e le il sistema delle piste ciclabili. Servono scelte radicali e coraggiose, come quelle di investire su un territorio sostenibile, escludendo il prolungamento dell’autostrada e investendo invece nella riqualificazione del sistema stradale esistente, percorso già cominciato in questi anni.
STUDIO CGIA SU TRASFERIMENTI ALLE PROVINCE. ASSESSORE SPECIFICITÀ BELLUNO: “CERTIFICATO INEQUIVOCABILMENTE IL TRADIMENTO DEI GOVERNI ROMANI DEGLI ULTIMI ANNI”
VENEZIA “Sono emerse in questi giorni le risultanze di uno studio della CGIA di Mestre che certificano in maniera inequivocabile quanto sostengo fin da tempi non sospetti, ovvero il tradimento perpetrato nei confronti delle Province da parte dei governi romani degli ultimi anni”. A dirlo è GIANPAOLO BOTTACIN l’assessore regionale con delega alla Specificità di Belluno, che sottolinea altresì come “l’unica ancora di salvezza, per quanto riguarda in particolare Belluno, sia stata la Regione del Veneto”. “Le Province ordinarie, tutte, sono state infatti usate in maniera ignobile dallo Stato per risanare i propri bilanci – prosegue l’assessore –, non solo attraverso il taglio ai trasferimenti al territorio ma addirittura chiedendo che le Province stesse versassero una quota delle risorse introitate direttamente. Una situazione negativa che denuncio fin dal 2011, epoca in cui ero presidente della Provincia di Belluno e venivo attaccato per una mia presunta incapacità di chiudere il bilancio. Incapacità, che se fosse stata vera, sarebbe stata poi da condividere anche con il commissario che mi succedette nel ruolo e successivamente pure con i presidenti di secondo grado che si sono alternati alla guida di Palazzi Piloni, i quali, a riprova che il problema non era il sottoscritto, hanno avuto problemi di bilancio ben più gravi dei miei, in quanto i tagli statali sono progressivamente aumentati governo dopo governo e l’unico polmone vitale per Palazzo Piloni è stato quello fornito dalla Regione”. “Una Provincia – sottolinea l’assessore – che ha subito, a causa delle manovre statali susseguitesi negli ultimi anni e in particolare della Legge di Stabilità 2015, tagli che sono arrivati addirittura al 37,6% rispetto alle entrate precedenti, solo parzialmente compensati da un aumento comunque importante dei trasferimenti regionali superiore mediamente al 22%: cifre impietose, ancora più gravi se accostate al fatto che ai tagli alle Province si sommano quelli ai Comuni, che fanno sì che ad ogni bellunese siano venuti a mancare oltre 250 euro annui. Una cosa scandalosa se pensiamo che nelle casse romane invece resta dal residuo fiscale degli abitanti della Provincia quasi un miliardo di euro”. “Eravamo e siamo in una situazione comunque senza via d’uscita – conclude l’assessore –. L’ho ricordato spesso, evidenziando che se lo Stato non avesse ripristinato gli oltre trenta milioni di euro tagliati alla Provincia di Belluno in questi ultimi anni, pari a oltre un terzo delle entrate dell’ente, considerando la vastità del territorio abitato da una popolazione decisamente ridotta e quindi con minime entrate proprie, qualsiasi diverso intervento avrebbe avuto l’effetto di un temporaneo palliativo, un piccolo placebo comunque assolutamente insufficiente per guarire una malattia terminale. Il mio auspicio, perciò, è che, anche partendo da dati certificati da associazioni terze, come quelli divulgati dalla CGIA, i governi che verranno non dimentichino il problema delle province, in primis quelle interamente montane come Belluno e Sondrio”.
VIVAIO DOLOMITI
BELLUNO Il report della Cgia di Mestre è a dir poco drammatico. Alcuni dei dati emersi li evevamo già presentati durante i nostri convegni-spettacolo e oggi abbiamo avuto la conferma che tutte le nostre preoccupazioni erano assolutamente fondate. Quello che ancora si stenta a capire è che la morte cui sta andando incontro il nostro territorio non riguarda una piccola parte della popolazione ma l’intera provincia: insieme alle attività produttive e al turismo verranno meno i servizi, quindi uffici pubblici, poste, banche, farmacie, giornali. Tutto il tessuto sociale, oltre che produttivo, del Bellunese è a fortissimo rischio.
A niente sono servite le iniziative tanto sbandierate portate avanti negli ultimi anni. Bisogna fare scelte strategiche, bisogna far entrare la nostra piccola provincia nel corridoio della Via della seta quale attore principale e creare vie di comunicazione che ci portino nel cuore dell’Europa. Lo dice lo stesso rapporto della Cgia di Mestre che lo sbocco a nord è fondamentale, evidenziando la necessità di perseguire opere performanti e basate sull’analisi del rapporto costi/benefici. Queste soluzioni Vivaio Dolomiti le ha date da tempo. Chiaro che lo sbocco a nord deve essere inserito in un territorio fragile e delicato e deve essere ambientalmente compatibile. Abbiamo dimostrato che è possibile farlo. L’opera deve tenere conto delle future (ma in parte già attuali) tecnologie ed essere compatibile per mezzi a idrogeno e ad elettrico, in linea con quanto stanno facendo nel resto del mondo.
Noi con le nostre forze avevamo contattato gli austriaci, che stanno ancora aspettando un riscontro da parte italiana per mettere in opera quello che ormai è indispensabile e indiscutibile: un corridoio tecnologico che possa infrastrutturare la nostra provincia e renderla competitiva in Europa. Inutile discutere o ragionare di pancia, non c’è più tempo nè spazio. O si agisce, in fretta, o si muore.
IL PIANO STRATEGICO ESISTE. BASTA AGGIORNARLO E ATTUARLO.
BELLUNO Intervento di Irma Visalli, già assessore alla pianificazione strategica della Provincia di Belluno.
“In altre parole, per arrestare declino e spopolamento è necessario dare delle prospettive di futuro alle persone; si deve partire da un progetto strategico, pensato non a livello di singolo Comune, ma in un’ottica più vasta che preveda azioni mirate e precise a partire dal tessuto economico attuale. Proprio nel contesto bellunese, in cui si sta assistendo ad un consistente spopolamento accompagnato da una drammatica desertificazione imprenditoriale, diventa necessario ed estremamente importante mettere in atto una programmazione strategica orientata allo sviluppo.
L’intera società civile, sia gli attori privati che pubblici, devono farsi carico di questo problema per invertire la tendenza in atto e impedire che il declino sociale divenga irreversibile”.
Parto dalle parole conclusive dello studio fatto dalla CGIA per la Provincia per chiedermi perché non si aggiorni, senza ulteriori spese, il Piano strategico della Provincia esistente dal 2007. In esso vi sono LE IDENTICHE PREMESSE dello stato attuale, indubbiamente peggiorato proprio perché quel progetto, prodotto e condiviso con le componenti sociali, economiche ed istituzionali della provincia NON È STATO ATTUATO. Viene spontaneo chiedersi, conoscendo la storia (ricordate la battaglia e il ricorso dei sindaci al PTCP), se la resistenza alla sua piena attuazione fu solo una questione politica ,non certo quella con la P maiuscola. Se quindi, fu deciso di fare come non esistesse SOLO perché era associabile ad una stagione amministrativa e forse anche al nome del leader che ne fu il protagonista. Ma quello che è certo è, che oggi non pensabile rimanere ancorati a questo. Sergio Reolon è morto.
Si può accantonare la battaglia contro di lui e l’avversità delle parti. Si può, e a mio avviso SI DEVE, riprendere in mano l’unico piano strategico esistente. Anche per evitare perdite di tempo e soldi pubblici. Credo che, nel Piano strategico, naturalmente da aggiornare proprio grazie ai nuovi dati dello stato di fatto, vi siano progetti e linee che sono ESATTAMENTE IN LINEA CON QUANTO OGGI EMERGE. E questo è naturale che sia proprio perché un piano strategico non tratta il contingente ma un futuro di medio lungo termine. Quello che oggi ancora viviamo. Se ci si prende la briga di guardare anche solo le tabelle in cui vengono raggruppati gli obiettivi strategici e le azioni si potrà constatare che non abbiamo bisogno di partire sempre dall’anno 0. Abbiamo perso dieci anni, verissimo. Per solite piccinerie umane e freni personalistici e localistici. Vero. Ma ora basta. Prendiamo in mano l’unico strumento strategico esistente. Rivediamolo con i dati dello studio del CGIA di Mestre, aggiorniamo le schede progetto alla luce di cose importanti successe (vedi fondi Odi, legge 25 e quant’altro) e procediamo, coesi e senza questioni di parte. Il Piano strategico fu allora una grande impresa collettiva e si trattarono questioni ancora vigenti. Gli attori m fisicamente, sono cambiati ma quello sguardo lungo sul futuro è più vivo e presente che mai.
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