IL SACRARIO DI POCOL
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Eppure, chissà quante volte ero passato davanti a quel piccolo cartello giallo con la scritta nera che si trova all’interno del curvone di Pocol di Cortina; un cartello discreto ma importante, che sta ad indicare la presenza del Sacrario Militare di cui io, fino a poco tempo fa, ignoravo completamente l’esistenza. Poi una sera, leggendo delle cronache inerenti ad eventi bellici accaduti sulle Tofane durante la Prima Guerra Mondiale, ho scoperto l’esistenza di questo monumento eretto a perenne memoria dei militi caduti in quel settore di fronte dolomitico. Leggevo e nel frattempo pensavo che era necessaria una visita urgente a quel luogo sacro che, appena conosciuto, già mi stava chiamando. Così, nel primo pomeriggio di un sabato d’inizio primavera, ho valicato il Falzarego imbiancato dalla prima neve d’aprile ed in breve ho raggiunto il mio approdo. Un cielo incerto sovrastava le cime ampezzane, le seggiovie giravano con vigore e gli ultimi sciatori di stagione solcavano le lingue di neve stanca che segnavano di bianco i ghiaioni delle Tofane. Una quiete improvvisa si era materializzata appena varcato il cancello di ferro; era sparito il ronzio monotono dei motori degli impianti di risalita e pure il vociare degli sciatori, ed era apparso il silenzio proprio dei luoghi tristi. Pochi passi ed ecco la lunga scalinata incisa nella roccia, e laggiù in fondo la maestosa torre alta quasi cinquanta metri. Il Sacrario Militare di Pocol incute soggezione ed esige rispetto; è architettura potente, i pavimenti in marmo lucido e le scale a chiocciola di pietra viva donano una severa solennità a questo monumento alla memoria. Piccole finestre lasciano filtrare la luce del sole che va ad illuminare le grandi lastre di marmo sulle quali sono incisi i nomi e i gradi di chi è sepolto all’interno di questo austero ossario. Tenente, Capitano, Soldato; e poi il nome. E sono tanti i nomi, troppi. Altre lastre, invece, riportano incisa solamente una parola e un numero che commuovono; IGNOTI 240. In quel profondo silenzio ogni passo rimbomba mentre lo sguardo scruta quei nomi di uomini che erano mariti, figli, fidanzati e spesso poco più che ragazzi, caduti lassù dove le rocce sfiorano il cielo. Chiudendo gli occhi pare di sentire il sibilare degli shrapnel, il secco Ta-Pum dei Mannlicher e il rombo cupo delle bombarde; e poi gli ultimi sospiri di quei soldati spirati all’ombra delle Tofane e che oggi vivono qui, fra queste mura possenti, il loro Sonno Eterno. Sembra di vederlo il Generale Cantore lassù fra le rocce di Forcella Fontana Negra, mentre si erge fiero dalla trincea per scrutare il nemico; il colpo in fronte, il foro sul berretto, la Medaglia D’Oro al Valor Militare e il riposo perenne qui, dove fra i larici ancora spogli, si intravede Cortina. Quando sono uscito da Sacrario c’era il sole e nevischiava, poi, quando ho raggiunto la sommità del Giau, mi sono fermato e sono sceso dalla macchina. C’era l’inverno lassù, ancora nevischio e vento freddo; ho ammirato le montagne e ho pensato a Loro che su quelle rocce e su quei ghiaioni hanno lasciato la vita e che ora riposano in quella silente e maestosa tomba che da novant’anni osserva la conca d’Ampezzo.
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