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L’ULTIMA SERA
AUDIO
All’inizio della seconda settimana di settembre tutto era compiuto. La valigia color vinaccia piena di vestiti estivi, la casa pulita e in ordine e il buio che ormai iniziava a scendere sul paese all’ora di cena. Era silenzio malinconico che saliva dalla strada, era sfrigolare della braciola nella padella e poi voci lontane provenienti dal televisore, sciabolare di fari e atmosfera mesta da tutto finito. Era l’ultima cena dell’estate ormai svanita, quella buona per svuotare il frigo, consumata mentre il telegiornale raccontava dell’imminente riapertura delle scuole, era l’ultima Ave Maria suonata dalla campana grande che avresti ascoltato mentre ti preparavi all’uscita serale con il cane. Chissà se il piccolo Alì sapeva che quella sarebbe stata l’ultima passeggiata montana di quell’estate ormai finita, forse no. Lui tirava allegro lungo le vie del paese mentre tu cercavi con lo sguardo quelle montagne che, per tre lunghi mesi, avevano racchiuso il tuo mondo. In quel tempo d’estate, esse erano state il tuo orizzonte ed erano divenute abitudine; ora, invece, erano già nostalgia e sul far della notte cercavi le cime, i canaloni e i boschi che ora si stavano abbandonando alla quiete e al buio di quella dolce e triste sera di settembre. Per il cane e per quelle donne che sbattevano le tovaglie sul terrazzo, quel tempo d’inizio autunno era un tempo indifferente, per te, invece, era il tempo del saluto ai monti e al paese. Mentre camminavi pensavi a quel giorno di metà giugno che ora sembrava così vicino; quando eri arrivato ai piedi del Pelsa c’erano ancora delle lingue di neve sotto le cime e le foglie dei faggi erano colorate del verde brillante della primavera. Ora, invece, quei faggi stavano iniziando a colorarsi di rosso cupo e ad inizio settembre la prima effimera neve, quella che dura il tempo di un mattino, aveva già imbiancato le cime più alte e nel frattempo era scivolata via un’altra estate e quel tempo allegro e spensierato era diventato ricordo da narrare nel primo tema intitolato Le mie vacanze. Al rientro dalla passeggiata era già buio profondo e non sentivi più l’allegro chiacchierare di quelle donne che alla sera sedevano sulla panca di pietra raccontandosi i fatti del giorno e la vita. C’erano solamente silenzio e vento settembrino che annunciava l’autunno che aveva appena varcato la porta d’entrata della valle. Poi un po’ di televisione nemmeno ascoltata e infine la notte, l’ultima notte agordina di quella lunga vacanza ormai terminata. Nella quiete di quelle lunghe ore insonni cariche di ricordi e pensieri, ogni rumore che il tempo dell’estate aveva addomesticato si rifaceva vivo. Il cigolare del letto a castello rosso, il battere della campana e il canto del Biois, tutti quei suoni che l’abitudine aveva reso muti, ora erano ritornati prepotenti e sembravano quasi voler dire Domani portaci con noi nella piccola città, non ci dimenticare. Fra un rintocco e l’altro della campana che scandiva il tempo alle stelle ti abbandonavi alla malinconia del momento e ad un sonno leggero che ti coglieva a sprazzi, e in quel dormiveglia erano presenti pensieri e rimpianti per quel tempo svanito. Chissà quanti goal in più avresti potuto siglare durante quelle interminabili partite di calcio giocate ovunque, e come sarebbe stato bello esserci quando l’autunno diventava inverno. Poi la lunga notte terminava, e il giorno successivo la piccola città ti avrebbe accolto con il suo tepore di settembre che annunciava l’imminente inizio delle lezioni; quando saresti ritornato al paese avresti trovato i larici intenti nel loro vestirsi d’oro.
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