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EMOZIONI
AUDIO
Nel corso degli anni, le emozioni che provava ogni fine settimana quando saliva al paese, erano rimaste intatte. Niente era diventato abitudine, vedeva e sentiva tutto quasi fosse stata la prima volta. Era sempre stupito e sorpreso dai sei rintocchi della campana che suonava poco dopo il suo arrivo ai piedi del Pelsa. E poi, appena sceso dall’auto, rimaneva sempre fermo qualche attimo ad ascoltare la voce del Biois. Con il tempo aveva imparato a conoscere l’umore del torrente, anche senza affacciarsi all’argine per scrutare la sua acqua talvolta impetuosa e marrone. Non era mai sazio, e mai lo sarebbe stato, di tramonti e di primavere, di autunni e ricordi che ritornavano ogni volta che si faceva sera. All’imbrunire, quando usciva a camminare, nelle sere buone attendeva l’apparire della Luna, la cercava fra le cime e poi, una volta trovata, ammirava a lungo il suo vagare in quel cielo dolomitico. Il venerdì pomeriggio, quando arrivava all’incrocio dei due torrenti, aveva sempre inizio un tempo nuovo e prezioso. Un tempo che non andava sprecato, e in quei due giorni scarsi anche il dormire diventava un dettaglio trascurabile. Gli piaceva vivere le lunghe sere d’estate camminando per il paese e, d’inverno trascorrere le silenziose e fredde serate accanto al fuoco. Andava a letto tardi e si alzava ben prima dei potenti rintocchi della campana grande che alle sette annunciavano l’inizio del giorno. Amava il silenzio del primo mattino, gli piaceva attendere il sorgere del sole sopra il Pelsa. Osservava e memorizzava l’ora e il punto preciso nel quale, in ogni stagione, il sole faceva capolino iniziando ad illuminare la valle. D’inverno era a sud, quasi al termine della lunga dorsale, d’estate invece accadeva poco più a nord della cima principale. Quello del sorgere del sole era un momento per lui carico di significati. Gli ricordava le fresche albe estive, con i prati umidi e i passi dei nonni che erano già in attività da un paio d’ore. Gli piaceva il verde potente di maggio che colorava i boschi che ricoprono i ripidi fianchi delle montagne che sovrastano il paese. Durante le lunghe sere del mese del Rosario, mentre camminava pensava che, in fondo, poco era cambiato in quello spicchio di mondo racchiuso fra il Pelsa e le Pale. C’erano meno abitanti e qualche casa in più, e il campo di calcio adesso era ricoperto d’erba. Non c’era più quella ghiaia severa che feriva fianchi e ginocchia ad ogni scivolata o tuffo, però c’era ancora quel vento potente che rendeva difficile il gioco pomeridiano. C’era dolcezza in quel ricordare mentre si lasciava accarezzare dal vento della sera, c’era il forte desiderio di vivere appieno quel tempo notturno scandito dai rintocchi perpetui della campana. Il mattino successivo avrebbe vissuto ancora una volta l’allegro brusio del mercato settimanale del sabato, si sarebbe fermato a chiacchierare con qualcuno, avrebbe parlato il suo dialetto. Si trovavano lì le sue emozioni, ben custodite dalle montagne che ogni settimana attendevano il suo ritorno. Erano emozioni semplici come il suo vivere, che sapevano d’acqua e vento, e poi c’erano i ricordi di quei tempi sempre più lontani ad aspettarlo. Gli bastava questo per stare bene, gli bastava l’abbraccio delle sue montagne.
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