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L’AUTUNNO DELLA VITA
AUDIO
Aldilà della valle, le montagne si stavano colorando d’estate nonostante lo scintillare della nuova ed effimera neve di maggio che ne imbiancava le cime. Un vento teso, di quasi d’aprile, muoveva abeti e memorie di quelle donne e di quegli uomini che, a metà pomeriggio, guardavano le loro montagne dalla finestra. Quello della casa di riposo era un mondo dai suoni ovattati e quasi sempre uguali. Il ronzio monotono dell’ascensore, il sottofondo di qualche programma televisivo. Il suono lieve e metallico dei ferri da calza che ancora si muovevano agili fra le dita, il rumore di passi stanchi in direzione delle finestre che davano sulla valle. Poi lunghi momenti in silenzio osservando quei versanti aldilà del Cordevole. Per alcuni di loro, quelle pale erbose erano state la loro ripida terra da curare, quella che avevano lavorato assieme ai loro genitori e che in gioventù aveva offerto il sostentamento al prezzo di dure fatiche. Ricordavano gli sfalci di luglio, le lunghe ore passate sotto il sole facendo sibilare la falce e grattando i prati con il rastrello. Rammentavano il peso dei fasci di fieno caricati sulle spalle e il peso della terra che, a primavera, doveva essere riportata alla sommità del campo. Poi, quando erano diventati adulti, quel lavorare la terra dei campi e quell’allevare gli animali non era più bastato a soddisfare i bisogni di quel tempo nuovo che era entrato quasi di colpo nella valle. E allora via, a lavorare, alcuni di loro anche oltre frontiera, giovani uomini all’estero nei cantieri del centro Europa o fra le dune dei deserti africani, a costruire case dighe e strade per guadagnare i primi importanti soldi buoni per mettere su famiglia. E le giovani donne a fare le stagioni in quegli alberghi che in quegli anni iniziavano a riempire le valli. Se le raccontavano con serenità quelle vite di lavoro mentre i ferri danzavano agili fra le dita; da quell’ennesimo lavorare sarebbero nati berretti e calzettoni che avrebbero donato ai nipoti che facevano loro visita al sabato pomeriggio. Nel frattempo, qualche partita a carte, le notizie dal mondo che offriva la televisione, le chiacchiere in dialetto durante i lunghi pomeriggi trascorsi insieme nelle salette. Storie di donne e uomini di montagna, nati negli anni duri della Seconda Guerra Mondiale, bambini quando l’Italia iniziava il suo complicato rialzarsi, e poi giovani negli anni più belli, quelli del boom economico e dei juke box, dei nuovi balli e della nuova musica che arrivava da oltreoceano. Anni di grandi cambiamenti che avevano interessato anche i loro paesi di montagna. Si era sviluppato il turismo, erano sorte fabbriche, c’erano opportunità nuove da cogliere più o meno lontano da casa. Alcuni di loro avevano lasciato i genitori a vivere in quelle frazioni aggrappate ai ripidi pendii dei monti ed erano scesi a valle, a vivere vite completamente diverse da quelle passate. Qualcuno era rimasto nei paesi di fondovalle, per altri, invece, era stata città, vita da condominio, figli che avevano frequentato l’università. Case moderne, fabbriche, automobili e visite domenicali, settimanali o mensili, ai genitori rimasti ad invecchiare lassù dove ogni anno, d’inverno, fumavano sempre meno camini. Poi gli anni erano passati velocemente ed era arrivato il tempo della pensione e, per alcuni, del ritorno al paese. L’età che avanzava, i primi acciacchi, per qualcuno l’essere rimasto solo, e infine la scelta di ritirarsi lì fra le montagne che li avevano visti nascere. Un tempo nuovo e tranquillo, da trascorrere tramandando preziose memorie mentre vivevano la quiete dell’autunno della vita.
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