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PIOGGIA D’ESTATE
AUDIO
Le nuvole arrivavano sempre di notte, quando la gente delle valli dormiva, ignara del tempo umido e uggioso che all’indomani avrebbe avvolto il paese. Appena sveglio trovavi un tempo triste che sapeva di estate improvvisamente svanita. Appena ieri, correvi a perdifiato per le strette vie del paese sotto ad un sole che picchiava duro, in pantaloncini corti e talvolta anche a torso nudo. Quel mattino, invece, dalla finestra scrutavi un cielo plumbeo, carico di nubi che si abbassavano velocemente andando a coprire i boschi colorati del verde carico di luglio. Di lì a poco sarebbe stata pioggia, ma non uno di quei temporali estivi brevi e potenti, che duravano il tempo di leggere un Topolino mentre mangiavi le patatine stick costo 500 Lire al pacchetto. No, sarebbe stata pioggia insistente, che avrebbe fatto gorgogliare le grondaie e cantare il Biois. Una pioggia che come una madre severa avrebbe fatto rimanere i bambini chiusi in casa e rallentato il vivere dei villeggianti che ora mostravano visi tristi. Quella pioggia d’estate scoraggiava le gite sui passi e le camminate in montagna. Le loro auto, con quelle targhe nere che riportavano le iniziali di città lontane, giacevano immobili nei parcheggi del paese e la piazza era deserta del classico traffico di piena estate. Donne e uomini abbigliati d’autunno, con l’ombrello in mano, che entravano e uscivano dai negozi per la spesa quotidiana. Musi lunghi per la loro vacanza momentaneamente rovinata e accenti da fuori che commentavano quel grigiore pesante che avvolgeva l’intera mole del Pelsa. Pioggia a tratti leggera e poi scrosci potenti, la voce del Biois che diventava sempre più cupa e l’acqua impetuosa e marrone che preoccupava i turisti che non conoscevano l’indole scorbutica di questo torrente di montagna. Rivoli d’acqua che scendevano lungo la strada per poi perdersi nella piazza deserta di auto e persone, il suono quasi soffocato delle campane che scandivano il tempo di quelle giornate di estate diventata autunno. Dalle valigie emergevano felpe e pantaloni lunghi e l’ombrello era il compagno fedele di quelle brevi passeggiate lungo le vie e le strade del paese. A volte, soprattutto verso sera, c’era il desiderio del fuoco acceso nella cucina economica. Un fuoco buono per asciugare un po’ di quella umidità fuori stagione, un fuoco che ricordava quei fine settimana d’autunno che il maltempo estivo aveva reso più vicini. Alla sera, qualche camino fumava e il fumo andava a perdersi nel triste grigiore di quelle nuvole basse e pesanti che sembravano voler schiacciare il paese. In casa, quel tempo d’estate svanita, passava piano. Mettevo mano a tutti i giochi che erano saliti insieme a me da Belluno, leggevo splendidi Topolino vecchi di vent’anni e iniziavo a svolgere i famigerati compiti delle vacanze. Poi, dopo un paio di giorni di tempo immobile, il primo fugace squarcio d’azzurro, lo schiarire delle acque del Biois e un vento teso che faceva sventolare la bandiera italiana del Monumento ai Caduti. Un vento potente e fresco, che spingeva via quelle nuvole tristi che avevano chiuso l’orizzonte e incupito l’umore. Riapparivano le montagne, ritornavano i boschi tinti del verde di luglio. E ritornava anche l’estate che ormai aveva valicato il suo culmine; ora era il tempo del lento scivolare verso quel tempo d’agosto nel quale, alla sera, la campana grande avrebbe suonato l’Ave Maria alle stelle.
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