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VECCHIO SCARPONE
AUDIO
Doman done in montagna? Chiese mio fratello un circa venticinque anni fa. Va ben, risposi con un certo entusiasmo. Così iniziai i preparativi per la salita su una delle cime che sovrastano Cencenighe. Per prima cosa occorreva munirsi di abbigliamento consono, e questo in fondo non era un grosso problema. Un vecchio zainetto di scuola e una tuta da ginnastica potevano bastare, ciò che mancava invece, si rivelava un problema non di poco conto. A mancare erano gli scarponi, i fondamentali scarponi, che all’epoca rappresentavano un obbligo morale e materiale riguardante le gite in montagna. Così ebbe immediatamente inizio una febbrile ricerca condotta fra garage cantina e casa. Rovistai ovunque, fino a quando, nell’oscurità del fondo di un armadio, intravidi due sagome scure e austere. Allungai una mano e riportai alla luce quel paio di scarponi che giacevano in tale oscuro antro da almeno una ventina d’anni. Percepii subito la loro indubbia resistenza, sentii il grasso di foca che ungeva le dita. Poi, appena riportati alla luce, li girai sottosopra per cercare il numero che indicava la misura, sperando che essa combaciasse con quella dei miei allora giovani piedi. Sulla robusta suola Vibram, ancora nuova nonostante l’età, era stampigliato il numero 42, proprio la mia misura. Soddisfatto li rigirai fra le mani per ammirare il mio nuovo acquisto a costo zero. Cuoio, vero cuoio nient’altro che cuoio. E poi la spessa suola, cucita alla tomaia con lo spago e infine i robusti lacci rigorosamente rossi che, giunti all’altezza delle caviglie, dovevano essere avvolti ai rigidi gancetti di metallo. Due solette raccattate chissà dove, utili ad ingentilire la calzata, e tutto era pronto per l’avvincente giornata che avrei vissuto l’indomani. La montagna prescelta per quella prima salita in compagnia degli scarponi marchiati Stellina era il Pelsa. Al mattino presto eravamo a Capanna Trieste pronti per iniziare la nostra avventura. Scarponi di cuoio ai piedi, zaino carico soprattutto di bottiglie piene d’acqua, ‘che mi avevano insegnato che non era piacevole soffrire la sete in montagna, ed infine tanto entusiasmo per quella salita che si preannunciava piuttosto lunga. Fino oltre il Rifugio Vazzoler fu normale amministrazione. Una bella camminata parecchio allenante per i polpacci costretti a trascinarsi un chilogrammo esatto di peso, poi, una volta raggiunto il grande prato, ebbe inizio la parte più avventurosa della nostra gita. Novello Bonatti munito di scarponi dell’epoca propria di Bonatti, puntai il pendio con l’idea di salirlo dritto per dritto. Ne uscì un tracciato nuovo, percorso solamente da noi in quanto praticamente impercorribile. Una mezz’ora di battaglia con i mughi, che mi costò alcuni tagli ai pantaloni multicolore in acetato, e poi il terreno aperto degli ultimi metri che conducono alla cima. Lassù, dove termina il monte, il consueto panorama superbo. Una buona birra, centellinate e studiate foto, ‘che il rullino era da ventiquattro, e la promozione a pieni voti dei miei scarponi che qualcuno definì, considerata la loro rigidezza estrema, strumenti di tortura medievali. Poi la discesa, questa volta lungo il sentiero corretto. Seguirono circa tre anni di scorribande montane con i miei divenuti inseparabili scarponi vintage ai piedi. Salimmo parecchie cime insieme, fino al giorno in cui decisi di munirmi di calzature al passo con i tempi. Fu così che gli scarponi in vero e puro cuoio, in perfette condizioni nonostante l’uso intenso, ritornarono a riposare nel loro antro oscuro divenendo ricordo di anni avventurosi e belli.
Vecchio scarpone quanto tempo è passato,
quanti ricordi fai rivivere tu,
e chissà, forse un giorno ritorneremo ancora una volta insieme lassù…
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