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DUE MESI SENZA VOI
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L’inverno del 2020 era stato secco, arido, quasi completamente privo di neve. A febbraio la terra si presentava arsa e dura e non c’era una nuvola in cielo ad annunciare una nevicata o almeno una pioggia che potesse dare respiro al terreno assetato. Era stato inverno stanco, apparentemente rassegnato a lasciare la valle ben prima dell’arrivo di marzo, ma poi, improvvisamente, all’inizio del terzo mese qualcosa cambiò. Durante una notte erano arrivate le nuvole a coprire le stelle e al mattino una poltiglia di neve mista ad acqua aveva ricoperto le strade di Belluno. Neve di quasi pianura, bagnata, effimera, che sarebbe scomparsa prima di mezzogiorno. In montagna, invece, era stata nevicata seria, un mezzo metro a mille metri che aveva riportato l’inverno nella valle e sulle cime. Il giorno successivo ero sul monte, a gioire per quel candore tardivo che scintillava al sole di marzo. Le montagne erano vestite a festa, ignare di ciò che stava per accadere agli uomini. Ammiravo quel panorama innevato di fresco mentre nel mondo di sotto aumentava prepotentemente la preoccupazione per quel male ignoto proveniente da est. Nel tardo pomeriggio salutai i monti e ripartii in direzione della Piccola Città, convinto che sarei ritornato a breve lassù dove era ritornato l’inverno. E invece, purtroppo, non andò così. Non rividi più quella neve tardiva, e nemmeno i boschi che lentamente si preparavano al risveglio primaverile. Due giorni più tardi terminò la libertà, e tutto ciò che fino a pochi giorni prima era scontato da quel momento era divenuto ricordo. Pensieri cupi, strade deserte e le montagne lassù, ricoperte di neve e pronte a vivere l’ennesima primavera. Chissà se le montagne sentivano la mia mancanza, mi chiedevo con sbagliata superbia. No, loro non sentivano la mancanza degli uomini, loro stavano tranquillamente vivendo quel momento di passaggio tra l’inverno e la primavera. Era l’uomo che sentiva la mancanza dei monti. In quei due mesi carichi di tristi silenzi e pensieri alternati ad attimi di speranza, il pensiero del canto d’acqua dei torrenti ingrossati dal disgelo, del fiorire dei bucaneve e del verde nuovo dei larici, faceva crescere di giorno in giorno una inedita e struggente nostalgia. Due mesi senza voi, pronunciai ad alta voce mentre guidavo lungo la Strada Madre deserta durante un primo mattino di uno strano inizio di maggio. Ora la primavera stava andando incontro all’estate e le cime erano ancora cariche di neve. C’era caldo e sopra quelle cime muovevano nuvole colorate d’aprile. Subbuglio in cielo e nell’anima. Ero salito lentamente sul monte, un po’ a causa dell’immobilità vissuta nei due mesi precedenti, e un pò perché volevo vivere appieno ogni passo di quella che immaginavo come una sorta di rinascita. Il bosco si era risvegliato dal lungo sonno invernale, io ero ritornato al mio posto abituale, ma questa volta con uno spirito diverso. L’assenza forzata aveva reso prezioso ogni scorcio, ogni albero e ogni ricordo del buon vivere vissuto sull’orlo del grande salto. Tutto appariva nuovo ai miei occhi, e lassù in alto c’era ancora la neve che avevo ammirato durante quella mattina d’inizio marzo. Eppure in realtà le montagne erano quelle di sempre, ero io che ero cambiato durante quei due mesi di assenza. Ora eravamo nuovamente insieme, e mentre camminavo lungo la via del ritorno il vento fece cantare le nuove foglie dei faggi. Tutto era ancora al suo posto, come sempre, ed ora anch’io avevo ripreso il mio posto abituale. Poi, a metà del percorso mi sono fermato in mezzo al bosco e a bassa voce ho pronunciato poche ma importanti parole; niente di tutto ciò che ora mi circonda dovrà diventare abitudine. I boschi, le montagne, il canto d’acqua dei torrenti, i ricordi che abitano in questa valle, nulla di tutto ciò è scontato.
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