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IL TABIA’
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Il tabià dei nonni si trova sotto alla Strada Provinciale di San Tomaso, al termine di una lunga scalinata. Oggi questo tabià non assolve più alla sua funzione originaria. Al suo interno non si sente più il forte profumo del fieno. Circa quarant’anni fa ha cambiato il suo ruolo, divenendo testimone di quelle vite faticose vissute da chi ogni mattina vedeva spuntare il sole sopra il Pelsa. I paesi di montagna della provincia di Belluno hanno in comune questa costruzione che è un po’ il loro stesso simbolo. Nei dialetti delle varie vallate può assumere dei nomi leggermente diversi, come ad esempio talvà, ma di base è sempre la stessa struttura. In agordino, il tabià caratterizza in modo importante i vari paesi. I fienili erano un elemento fondamentale del vivere dei tempi passati, e lo scopo del tabià è principalmente quello di contenere il fieno per le vacche, ma non solo; la parte inferiore, infatti, sempre costruita in muratura, funge da stalla. Dentro la stalla del fienile dei nonni, che può contenere un paio di vacche, c’è la carpia, ovvero la mangiatoia, e un tempo, appeso accanto alla porta c’era l’immancabile quadretto di Sant’ Antonio Abate. A terra è presente una fossa, detta bus dela pisina che serve a contenere le zòrde, ovvero gli escrementi, prodotti dagli animali. Un tubo collegato all’esterno serviva a scaricare l’urina. Il bus veniva svuotato giornalmente e il letame, chiamato gràsa, finiva nella cort, ovvero sul mucchio posto fuori della stalla. La gràsa sarebbe poi servita per concimare i campi. La parte superiore in legno, sviluppata su due piani, nel passato conteneva il fieno. Una botola, chiamata fumèr, dalle dimensioni di circa 50×50 cm. serviva a far cadere il foraggio direttamente nella stalla sottostante. Il locale, piuttosto grande, poteva essere ampliato creando un soppalco con delle tavole di legno, le brèghe, appoggiate semplicemente alle travi. Per accedere al soppalco è presente una porta che oggi si apre sul nulla; fino alla metà degli anni ’80 tale porta permetteva l’utilizzo del pont de legn, un ponte che univa il tabià alla scalinata che mena su ‘nte stradon. La sua presenza facilitava lo stipaggio del fieno nella parte superiore del tabià. All’esterno è presente un ballatoio, detto palanzìn, che nel caso del tabià dei nonni, collega il locale destinato al fieno alla legnera situata nella parte posteriore, munita di tetto per proteggere la legna dalle intemperie. Questo tabià è dotato anche di porzìl, ovvero il porcile. Nella piccola stanza quadrata soggiornava il maiale. All’interno del porzìl è presente un naf in pietra. Il naf è una piccola mangiatoia in pietra collegata all’esterno tramite una tramoggia. Come nel caso della stalla, anche il porzìl è fornito di tubo per scaricare all’esterno i liquami prodotti dal maiale. I tabìa più antichi molto spesso hanno il tetto di scàndole, cioè di tavolette di legno di larice. Quelli più moderni, come il tabià dei nonni che ha quasi ottant’anni, solitamente hanno il tetto ricoperto di lamiera oppure di tegole. In caso di forti nevicate, superati i trenta centimetri di neve, il tetto scarica la neve autonomamente; non so quanto sia stato voluto questo fenomeno, ma ad ogni nevicata è così, ed è un fulgido esempio di ingegneria empirica, o forse del saggio sapere dei vecchi. Al giorno d’oggi all’interno di molti tabià non è più presente più il fieno e alcuni addirittura sono stati trasformati in splendide abitazioni. Ma nonostante le trasformazioni dettate dai tempi moderni, rimangono comunque i testimoni del vivere di un tempo nemmeno troppo lontano e uno dei simboli più importanti della nostra terra di montagna
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