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QUANDO SI ANDAVA A SCIARE
AUDIO
Cande elo che don a fa fondo…questa era la domanda che ponevo a mio papà quando la prima neve aveva imbiancato la cima del Serva. Cande che vien la nef su le piste…era questa la risposta ovvia che accendeva la mia impazienza di bambino che amava la neve. Intorno alla metà di novembre, quando la brina del mattino chiamava inverno e i tigli di Via Feltre erano ormai spogli, osservavo le nuvole e annusavo l’aria per capire se c’era il desiderato tempo da neve. A quel tempo di metà anni ‘80, la neve arrivava quasi sempre ai primi di dicembre, ed era in quei giorni che gli sci da fondo venivano riesumati dalla cantina. Dopocena, due sedie della cucina a sostenere gli sci di papà, un vecchio ferro da stiro e la scatola di legno che conteneva le varie scioline. Un rito compiuto con precisione, che anticipava la tanto attesa prima sciata dell’inverno. Tutto era iniziato a Falcade durante una fredda e grigia mattina d’inizio dicembre. La strada innevata da Cencenighe in poi, i puntuti ghiaccioli che ornavano la vecchia galleria delle Anime e la neve sempre più alta man mano che salivamo lungo la Valle del Biois. Sull’asfalto neve marrone ghiacciata mista a sale e ghiaino, sulla piana di Falcade, invece, una neve candida e perfetta e pochi sciatori che scivolavano lungo la pista senza apparente fatica. A quel tempo di metà anni ‘80, il fondo era ancora sport per pionieri che amavano fatica e silenzi. E poi era sport pure economico, si scendeva dall’auto e si entrava in pista, senza pagare alcun biglietto. C’era un gran freddo quella mattina, ma io ero munito di salopette rossa plastificata, maglione e dolcevita acrilica e pelle di coniglio nelle scarpe di due misure in più. Così imbaccuccato il freddo non l’avevo sentito e mi ero divertito durante quel primo approccio allo sci di fondo. Così l’attività sportiva invernale ebbe un piacevole seguito che durò qualche anno. La domenica al mattino si sciava in Nevegal, e poi dopo pranzo si andava a San Tomaso a fare visita ai nonni. C’era la 127 color del cielo col portasci di ferro con le cinghie di gomma accompagnate dalle mitiche corde elastiche, strumento utile per bloccare gli sci ma piuttosto pericoloso quando si trasformava in fionda. Ma negli anni ’80 non si aveva timore di nulla, nemmeno delle corde elastiche. Poi via, destinazione Nevegal con la strada perennemente innevata e niente gomme invernali. Il Cinturato Pirelli non temeva la neve, e papà le catene le ha montate solo una volta, e solamente per precauzione in quanto c’era il mondo intero che saliva sul colle dei bellunesi per assistere alla 50 chilometri dei Campionati Italiani. Per la cronaca, vinta da Maurilio De Zolt. Si parcheggiava lungo il rettilineo di Pian Longhi e poi c’era il momento catartico della sciolinatura. Bagagliai aperti, fornelletti da campeggio, chili di sciolina di tutti i tipi e uomini concentrati che tastavano la neve prima di operare la fatidica scelta. Talvolta si scambiavano opinioni mentre io mi annoiavo perché avevo gli sci squamati e quindi niente sciolina. Un paio di sci seri arrivarono l’anno successivo, così il momento-sciolina a volte raddoppiava di durata; però mi sentivo importante perché anch’io potevo dire la mia sul tipo di neve al suolo. Poi finalmente si sciava, papà andava per gli affari suoi ed io mi sorbivo un po’ di giri sul tracciato da tre chilometri. Andava via così la mattina, poi alle 11.30 circa nuova legatura degli sci sul tetto e rientro rapido per essere puntuali a pranzo. Poi, finito di mangiare, di nuovo in auto per fare rotta verso San Tomaso, dove avrei vissuto un pomeriggio di affetti e inverno.
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