********
GIORNI LIBERI
AUDIO
A Belluno, le mattine dei primi giorni di giugno offrivano un’atmosfera lattiginosa che precedeva il caldo d’inizio estate. Il Serva mostrava il verde cupo dei suoi enormi prati e la Schiara lo scintillare dell’ultima neve che ornava la cima. La città profumava di tiglio, e nel grande giardino della scuola Gabelli era tutto un vociare allegro di bambini che attendevano impazienti la fine dell’anno scolastico. Qualche ragazzino azzardava i pantaloncini corti e anche le maestre sfoggiavano abiti colorati e leggeri e pure sorrisi ben nascosti durante i mesi precedenti. Ormai era quasi tempo del rompete le righe e durante quelle ultime mattine, le lezioni si svolgevano svogliatamente nel grande giardino, all’ombra della pergola che a settembre sarebbe stata carica di uva americana. Solamente gli alunni di quinta mostravano visi seriosi; per loro la libertà era più lontana, gli esami incombevano e loro mostravano una certa agitazione e un pò di invidia nei confronti degli spensierati compagni più giovani. Durante quei pomeriggi sempre più caldi non c’erano più compiti da svolgere. Quel lungo tempo pomeridiano era speso giocando a calcio sull’asfalto rovente di qualche cortile oppure, durante quell’inizio estate di metà anni ‘80, con le biglie sul grande mucchio di sabbia dei lavori del metano. Si giocava anche alla sera, dopo cena ci si ritrovava a vivere quell’imbrunire eterno di giugno che lentamente si insinuava fra le case e i condomini di Belluno Ovest. Era un tempo nuovo quello della fine della scuola, un tempo libero vissuto nella piacevole incertezza riguardante la data della nostra partenza destinazione Cencenighe. Sapevo che sarebbe accaduto a breve, ma non conoscevo il giorno preciso di questo evento sempre atteso. Nel frattempo vivevo con divertimento quei giorni liberi, salutavo qualche compagno di giochi che partiva per il mare e iniziavo a prepararmi anch’io per quella partenza che poteva essere anche improvvisa. Una sera, al termine della cena, prima di uscire mamma mi avrebbe detto “…doman matina don in sù…”, e allora io, mentre il sole andava a morire dalle parti del Pizzocco, avrei giocato all’ultimo nascondino e poi salutato gli amici di sempre. All’indomani mi sarei svegliato ad orario di scuola, avrei consumato una colazione veloce e poi mi sarei accomodato sul sedile posteriore della 127 color del cielo, in compagnia della valigia e di qualche borsa. Saremmo partiti così, da una Belluno ancora immersa in un placido dormiveglia d’inizio estate, avremmo incrociato autobus pigri e vuoti e poi, a Mussoi, avremmo imboccato la Strada Madre correndo incontro alle nostre montagne che ci aspettavano vestite d’estate. Avrei ammirato dal finestrino il verde carico dei prati e i mille colori dei fiori di giugno, e poi ascoltato il canto deciso del motore della 127 che correva spedita lungo l’Agordina. E poi avrei guardato il cielo, che ad ogni chilometro diventava sempre più limpido mentre i sedili in similpelle nera iniziavano a scottare. La chiesa di Agordo, bianca e abbagliante illuminata dal primo sole, le alte pareti delle Pale e lassù in alto, al centro della valle, il grigio severo della sud della Marmolada a chiudere quel perfetto orizzonte. Pochi minuti e poi la 127 si sarebbe fermata per qualche istante sotto casa. Io e mamma saremmo scesi quasi al volo e poi avrei ascoltato il prima – seconda deciso di papà che avrebbe proseguito il suo andare lungo la Val Cordevole, destinazione Val Fiorentina. Di lì a poco il sole ci avrebbe dato il suo benvenuto spuntando dalla cima del Pelsa; sarebbe stato quello il momento dell’inizio ufficiale dei miei giorni liberi vissuti lassù, dove il Biois, di notte, racconta le storie della sua valle.
**********