L’OPINIONE
di Mirko Mezzacasa
C’è un momento preciso nella storia dello sport bellunese in cui il sogno ha superato il confine del razionale, dove l’entusiasmo per il ghiaccio ha spinto amministrazioni comunali a fare scelte di cui ancora oggi si pagano le conseguenze. Io quel momento l’ho vissuto, con una certa fortuna, a cavallo tra gli anni Ottanta e Novanta: il boom dell’hockey, il fervore per il pattinaggio, le finali storiche dell’Alleghe, il palaghiaccio strapieno a Feltre e il fermento sportivo che animava anche Zoldo, Auronzo e Agordo non solo Cortina la Olimpica del 56. Era un’epoca dorata, certo, ma anche segnata da un entusiasmo a tratti miope. Belluno ci ha provato con il palaghiaccio di Lambioi, qualche partita di hockey durante le Universiadi, qualche partita dell’Alleghe con una media di spettatori paganti ridicola, pochi pattinatori della domenica e qualche squadra di brombool e scopone su ghiaccio. I costi hanno costretto alla chiusura del ghiaccio, il PalaLambioi si è dimostrato utile e importante per ben altro ma non per gli sport del ghiaccio, Belluno città non ha questa cultura e non so se mai c’e’ stata, io non la ricordo.
Oggi, con il senno di poi (ma neanche troppo), è chiaro che alcune scelte furono più figlie della propaganda e della “febbre del ghiaccio” che non del buonsenso. Prendiamo Agordo: costruzione di uno stadio dedicato a Toni Guadagnini*, impianto con ghiaccio artificiale, poi il guasto, poi il grande contributo (poco, meno di un miliardo del vecchio conio) per rimetterlo a nuovo. E poi? Silenzio. Ragnatele. Un mausoleo all’inerzia, un monumento al progetto incompiuto. Il ghiaccio non ha mai più visto un pattino. E nessuno ha mai pagato davvero per questo spreco.
Nel frattempo, chi ha usato il cervello – come Falcade, che ha deciso di non buttarsi nell’avventura ghiacciata proprio per evitare il buco nero delle manutenzioni – oggi non ha monumenti chiusi, ma strutture funzionanti. Questo sì che è buonsenso.
Eppure, oggi, sentiamo ancra parlare di nuovi impianti, di nuovi sogni progettuali. Ma ci vogliamo davvero ricadere? Davvero è così difficile imparare dagli errori del passato? Basta con l’ossessione per il “palaghiaccio sotto casa”, basta con le promesse dei visionari che vedono nello stadio l’elisir del rilancio territoriale. È finita da un pezzo quella stagione. Alleghe oggi ha un impianto solido e funzionale per tutta la vallata, ma che fatica tenerlo in piedi è bastata una crisi energetica per vedere chiudere le porte in piena stagione agonistica. Feltre è tornata in forma, anche grazie a una gestione più moderna, non merita certo una concorrenza a poche decine di chilometri. Zoldo, senza copertura, sta crescendo ma abbisogna di interventi concreti per non illudere le nuove generazioni e permettere loro di giocare nelle migliori condizioni.
La domanda è: serve un nuovo impianto in provincia? O serve più attenzione alle risorse, più investimento in ciò che esiste già, più rispetto per la memoria – anche quella degli errori. Perché il ghiaccio è bello, lo sport è importante, ma la realtà si scalda con i numeri, non con le illusioni soprattutto quando l’impianto va mantenuto con i soldi dei contribuenti perché da solo non si sostiene anche se in fase progetturale ho sempre sentito il contrario. Il sindaco di Belluno Oscar De Pellegrin sul Corriere delle Alpi (che a gennaio titolava “servono almeno 7 milioni per lo stadio del ghiaccio”) è stato comunque chiaro, abbiamo inteso: conti chiari, soprattutto sul dopo e nessuna intenzione di indebitare ulteriormente i cittadini