Tra le grandi regioni del Nord Italia, il Veneto è al primo posto per la quota di persone sul totale residenti che ha fatto un acquisto di beni o di servizi attraverso il commercio online. Nel 2024, infatti, 2.242.000 veneti (pari al 46,2 per cento del totale) hanno comperato per mezzo dell’e-commerce. Si stima che l’anno scorso nella nostra regione il giro d’affari del commercio elettronico abbia oscillato tra i 7,5 e gli 8 miliardi di euro.
E sebbene negli ultimi anni le variazioni di crescita delle vendite online siano state più che doppie rispetto a quelle registrate dai piccoli negozi di vicinato, va sottolineato che i dati più recenti ci dicono che il 90 per cento circa delle vendite al dettaglio di prodotti avviene ancora nelle attività commerciali fisiche. A dirlo è l’Ufficio studi della CGIA.
E-commerce sempre più diffuso, ma i piccoli negozi sono insostituibili
In altre parole, se il commercio online sta aumentando la sua quota di mercato, i negozi tradizionali, seppur in difficoltà, continuano comunque a generare la maggior parte del fatturato delle vendite al dettaglio a beneficio dell’occupazione, del tessuto urbano e della qualità della vita. Certo, l’e-commerce sta diventando un fenomeno sempre più diffuso, ma non è destinato a cancellare l’attività dei negozi di vicinato. Il commercio fisico mantiene ancora la quota dominante delle vendite e rimane centrale nelle abitudini dei consumatori. Tuttavia, le esperienze internazionali ci dimostrano che nei Paesi dove la regolazione è molto debole e la pressione fiscale è più alta, il commercio online cresce più rapidamente. Diversamente, dove esiste un tessuto commerciale urbano forte e si sono adottate delle politiche di sostegno, il negozio di vicinato resiste meglio.
I residenti di Trento e Aosta al top per il ricorso al commercio elettronico
Secondo gli ultimi dati Istat riferiti al 2024, la percentuale più elevata di residenti che negli ultimi 12 mesi ha effettuato un acquisto con il commercio elettronico è stata la Provincia Autonoma di Trento con il 49,2 (pari a 268.000 consumatori). Seguono la Valle d’Aosta con il 47,2 (58.000), la Toscana con il 47 (1.722.000) e il Friuli Venezia Giulia con il 46,4 (554.000). Chiude la graduatoria nazionale la Calabria con il 27,6 per cento (pari a 507.000 consumatori) (vedi Tab. 1).
Boom online nelle vendite di abbigliamento e scarpe
Il settore con la quota di penetrazione delle vendite online più elevata è l’abbigliamento, scarpe e accessori. Nel 2024 il 23,2 per cento delle vendite di questi prodotti è avvenuto per mezzo del commercio elettronico. Seguono gli articoli per la casa, mobili e giardinaggio con il 13,7 per cento, i film o le serie in streaming con il 13,4 per cento, i servizi di trasporto con l’11,4 per cento e prodotti cosmetici con il 9,5 per cento. I dati sono riferiti al mercato nazionale, ma le differenze con il Veneto non dovrebbero essere particolarmente significative (vedi Graf. 1).
I punti di forza dell’online
Se l’online consente al consumatore finale di ridurre i tempi di acquisto, di confrontare con facilità i prezzi e di avere un maggiore accesso alle informazioni sui prodotti, i negozi di vicinato sono penalizzati dai grandi operatori del commercio elettronico anche perché questi ultimi operano su scala globale con piattaforme centralizzate che gli permettono di praticare politiche di prezzo molto aggressive. Senza contare che molti operatori sono multinazionali che pagano le tasse nei Paesi a fiscalità di vantaggio e non in quelli dove realizzano gli utili. Infine, l’e-commerce ha imposto nuovi standard di comodità: acquisti 24 ore su 24, consegne rapide, possibilità di resa e ampiezza quasi illimitata dell’offerta.
Come aiutare i piccoli negozianti?
Nel ricordare che i piccoli negozi commerciali e le botteghe artigiane non si limitano a vendere delle merci, ma a differenza dei grandi piattaforme
creano lavoro localmente e alimentano circuiti di spesa radicati nel territorio;
danno luogo a occasioni di socialità, offrendo servizi personalizzati e consulenza sui prodotti;
contribuiscono all’attrattività delle città, migliorando la qualità della vita e la sicurezza dei luoghi in cui insistono.
Pertanto, non sono necessarie battaglie nostalgiche a difesa del commercio fisso, ma misure che favoriscano la concorrenza e la sostenibilità. Vale a dire:
regole fiscali competitive per tassare in modo equo le vendite digitali basate sulla localizzazione effettiva dei consumi;
politiche urbanistiche e fiscali che alleggeriscono il costo dell’affitto, delle tasse locali e favoriscano gli investimenti nei centri storici e nei quartieri;
strumenti di trasformazione digitale per le piccole attività non più basate su bandi episodici, ma attraverso misure strutturali.
Conclusione
Secondo la CGIA l’ecommerce è un fenomeno strutturale, ma non è detto che la sua diffusione porterà alla cancellazione dei negozi di vicinato. I dati mostrano un quadro complesso: il commercio fisico mantiene ancora la quota dominante delle vendite e rimane centrale nelle abitudini dei consumatori. Ciò che manca è una cornice politica ed economica che permetta alle piccole attività locali di competere su parametri equi, riconoscendone il valore economico e sociale. In altre parole abbiamo bisogno di scelte politiche — non una resistenza alla modernità, ma una gestione consapevole della transizione — che trasformi la sfida digitale in un’opportunità per tutti.






