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VENEZIA Dopo i picchi raggiunti durante la crisi economico-finanziaria del 2008 e negli anni immediatamente successivi, in Veneto si è registrato un progressivo calo dei licenziamenti, in particolare quelli da tempo indeterminato, nonostante il contestuale aumento delle attivazioni contrattuali. Una dinamica che, accompagnata dall’aumento delle dimissioni volontarie, suggerisce un rafforzamento della mobilità occupazionale dettata nella maggior parte dei casi dalle scelte dei lavoratori. È quanto emerge dall’analisi dell’Osservatorio regionale sul Mercato del Lavoro sui percorsi lavorativi dei lavoratori licenziati in regione. Il picco massimo si è raggiunto nel 2012, con poco meno di 60.000 licenziamenti, cui è seguita una fase di contrazione che ha portato il flusso di licenziamenti ad attestarsi, nell’ultimo triennio, su una media di 35.000 unità, rappresentando comunque una quota minoritaria delle cessazioni contrattuali complessive. Considerando i soli rapporti di lavoro subordinato a tempo indeterminato il peso dei licenziamenti è diventato particolarmente contenuto, a fronte di un significativo incremento delle dimissioni. Nel 2024, ultimo anno di osservazione, i licenziamenti dal tempo indeterminato sono stati nel complesso circa 28.000, il 15% del totale delle cessazioni. Nella maggior parte dei casi i licenziamenti riguardano i licenziamenti economici individuali, ovvero recessi per volontà del datore di lavoro riferiti a procedure individuali, nel caso di oggettive difficoltà o necessità aziendali. Nell’ultimo triennio, dopo la sospensione in periodo pandemico, sono stati poco meno di 20.000. Tra questi rientrano anche le cessazioni unilaterali del rapporto di lavoro legate al cambio di appalto contraddistinte dall’immediata riassunzione dei lavoratori licenziati, che rappresentano mediamente un quinto del complessivo flusso dei licenziamenti economici. Le procedure di licenziamento collettivo, ammesse per le aziende con più di 15 dipendenti che superano determinate soglie di esuberi, rappresentano una parte minoritaria del complessivo numero delle conclusioni contrattuali dal tempo indeterminato. Nel 2024 sono stati poco più di 1.400, il 5% del totale. Ma i licenziamenti non sono riconducibili soltanto a situazioni di crisi o difficoltà dell’azienda e possono anche rappresentare strumenti di gestione del personale, specie nel caso dei licenziamenti disciplinari, che a partire dal 2015 hanno mostrato un peculiare incremento anche a seguito delle modifiche normative introdotte dal Jobs Act. Nel 2024 in Veneto sono stati circa 7.400, pressoché il doppio di quelli registrati nel 2015, molti dei quali per giusta causa. A tale rafforzamento possono aver contribuito diversi fattori che, agendo simultaneamente, risultano aver favorito il ricorso a questa tipologia di recesso: ad esempio la limitazione dei casi di reintegra nel licenziamento illegittimo unita all’applicazione del regime a tutele crescenti, l’ampliamento delle casistiche ammesse o comportamenti elusivi volti a simulare situazioni di disoccupazione involontaria per poter accedere all’indennità di disoccupazione NASpI. I percorsi lavorativi dei licenziati, sostenuti dalla NASpI, tendono generalmente ad allungarsi, con bassi tassi di ricollocazione nel breve periodo, che però migliorano progressivamente nel medio termine. Al netto di situazioni che possono essere ricondotte a cambi di appalto, che implicano una ricollocazione pressoché immediata, i tassi medi si attestano poco sopra il 10% entro il primo mese, attorno al 35% entro i 6 mesi, al 50% entro 12 mesi (percentuale passata dal 44% dei licenziati del 2019 al 48% del 2023) e fino al 70% oltre l’anno. Ciò significa che, anche per periodi che eccedono il limite massimo di beneficio della NASpI (pari a 24 mesi), circa il 30% dei lavoratori licenziati non risulta ricollocarsi, nell’ambito del lavoro dipendente o parasubordinato, in regione. Nella maggior parte dei casi l’ambito di reimpiego rimane lo stesso del rapporto di lavoro concluso, anche se i tassi di permanenza nello stesso macro-settore tendono a ridursi leggermente nel lungo periodo. Nei servizi il tasso di reimpiego è attorno all’85%, mentre nel comparto industriale è leggermente più contenuto. Il raffronto con le dinamiche registrate per le dimissioni evidenzia, come logico attendersi, un significativo divario tra i tassi di ricollocazione nel breve termine. Mediamente per i lavoratori dimessi, quindi senza accesso alla NASpI, il tasso si attesta attorno al 50% già entro un mese dalla dimissione, confermando in molti casi il passaggio più o meno immediato da un’occupazione all’altra, mentre su orizzonti temporali più lunghi i livelli di rioccupazione tendono a convergere.
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