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CON LA COLLABORAZIONE DI DAVIDE CONEDERA
Sono state scoperte e studiate due nuove specie di pesci fossili nelle Dolomiti, grazie a una ricerca pubblicata sulla rivista scientifica internazionale Geobios. Lo studio porta la firma di ricercatori dell’Università di Padova, della Lombardia e della Slovenia. L’articolo completo è disponibile ad accesso libero al seguente link: https://www.sciencedirect.com/science/article/pii/S001669952500049X I fossili risalgono a circa 238 milioni di anni fa, nel periodo Ladinico del Triassico medio, quando l’area che oggi corrisponde alle Dolomiti era un caldo mare tropicale. I fossili provengono dal sito di Pelsa/Vazzoler, in Val Corpassa (Taibon Agordino, Belluno), un antico bacino marino isolato e povero di ossigeno, simile a una moderna laguna protetta da una barriera corallina. Le nuove specie descritte sono state chiamate Habroichthys zuitaensis, dedicata al Zuita/Monte Civetta, e Habroichthys dincae, intitolata alla Dr.ssa Chiara D’Incà della Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio. Nello stesso lavoro sono documentate altre cinque specie dello stesso genere, provenienti una dalla Lombardia e quattro dalla Slovenia. Questi piccoli pesci presentano caratteristiche peculiari: si tratta di forme in miniatura, con esemplari adulti lunghi appena 2–4,5 centimetri. Alcuni individui rinvenuti nel sito di Pelsa/Vazzoler misurano tra 1,1 e 1,9 centimetri e sono probabilmente giovanili (avannotti). Uno di essi, lungo solo 1,1 centimetri, rappresenta uno dei più piccoli pesci marini fossili mai descritti. La presenza di esemplari di tutte le età, dalle larve agli adulti, suggerisce che la laguna fosse un’area di riproduzione e crescita delle ittiofaune. Dal punto di vista morfologico, questi pesci si distinguono per le alte scaglie incurvate attorno i fianchi, che conferiscono al corpo una sezione subrotonda, e per la testa compatta e squadrata. Presentano inoltre un evidente dimorfismo sessuale nelle pinne anali: nei maschi, la pinna possiede delle robuste scaglie basali, raggi anteriori lunghi e rigidi e raggi posteriori più sottili con all’estremità dei piccoli uncini utilizzati per facilitare la fecondazione esterna delle uova prodotte dalla femmina. Fossili di questo genere sono già noti anche nel sito UNESCO del Monte San Giorgio (tra Lombardia e Svizzera) e in diversi giacimenti del sud della Cina. Si tratta di pesci caratterizzati da un’elevata diversità e da una rapida evoluzione, con molte specie strettamente imparentate che potevano anche coabitare negli stessi ambienti (come nel Pelsa/Vazzoler). È probabile che vivessero in branchi, come suggerito dal ritrovamento di numerosi esemplari concentrati sulla stessa superficie di strato. Le orbite oculari molto grandi, pari a circa il 40% della lunghezza del capo, indicano una buona acuità visiva. L’assenza di denti, unita a una grande sezione della testa, fa ipotizzare una alimentazione a sospensione, nutrendosi di plancton e particelle organiche galleggianti. Dal punto di vista ecologico, questi piccoli pesci svolgevano un ruolo analogo a quello dei moderni pesci criptobentonici delle barriere coralline (adulti di dimensioni inferiori ai 5 centimetri) che contribuiscono in modo significativo alla biomassa e alla catena alimentare nelle barriere coralline.
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