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RICEVIAMO E PUBBLICHIAMO LA CONTROREPLICA SUL CASO SMART WORKING DI CORTINA DA PARTE DELL’AVVOCATO IVAN BORSATO
La replica di SEAM è, se possibile, ancor più sconcertante della presa di posizione iniziale. Dalle sue stesse parole emerge infatti una conferma ulteriore: la società appare deliberatamente arroccata su posizioni ideologiche e retrograde, in evidente contrasto con le normative e le indicazioni regolamentari, anche a livello europeo. In tutta la vicenda, l’unico atteggiamento realmente “malizioso” sembra essere proprio quello di SEAM, che continua ad attribuire allo smart working un’accezione negativa, come se una richiesta in tal senso non potesse che provenire da un dipendente poco incline alla produttività ed efficienza, forse persino intenzionato ad approfittarne alle spalle dei colleghi. Sorprende e lascia sinceramente amareggiati che affermazioni non veritiere – e facilmente smentibili documentalmente – provengano da una società interamente a partecipazione pubblica. Ci si riferisce, ad esempio, alla dichiarazione secondo cui “la lavoratrice sarebbe entrata in maternità un paio di settimane dopo l’assunzione”. I fatti smentiscono chiaramente tale affermazione: la lavoratrice ha partecipato al colloquio il 19 dicembre 2023, è risultata vincitrice il 12 gennaio 2024, ed è stata assunta il 1° marzo 2024. La maternità è iniziata soltanto il 5 settembre 2024, ovvero a distanza di mesi. Ugualmente infondata è l’affermazione secondo cui “non corrisponde al vero che la società abbia concesso lo smart working da un giorno all’altro solo sotto pressione”. Il 23 maggio 2024, il medico competente ha segnalato come fattore di rischio l’importante pendolarismo della lavoratrice, prescrivendo la maternità anticipata oppure lo smart working. La dipendente, pur potendo beneficiare dell’astensione dal lavoro coperta dalla previdenza sociale, ha dato immediata disponibilità a proseguire l’attività lavorativa – anche in presenza, qualora necessario – a ulteriore dimostrazione della propria volontà di lavorare. La società ha tuttavia ignorato la questione. Solo il 29 maggio 2024, a fronte del silenzio aziendale, la lavoratrice ha formalmente richiesto una decisione, comunicata il 3 giugno 2024: autorizzazione allo smart working a partire dal giorno successivo, quindi – sì – esattamente “da un giorno all’altro”, rivelando una scarsa attenzione alle esigenze di organizzazione familiare. La ratifica da parte del CdA è arrivata soltanto il 14 giugno, dieci giorni dopo l’inizio effettivo del lavoro da remoto. Lascio alla Consigliera di parità il compito di replicare alle altre inesattezze diffuse da SEAM in merito alle modalità della convocazione e al presunto “risibile” anticipo. Resta il fatto che, al tavolo istituzionale, erano presenti tutti – compreso l’Ispettorato del Lavoro – tranne SEAM. Quel che emerge chiaramente, in ogni caso, è una visione confusa e una scarsa dimestichezza sul tema: SEAM prima sostiene che lo smart working non venga concesso a nessuno, poi dichiara che viene garantito a tutti quando ne hanno bisogno. Un datore di lavoro interamente partecipato da un ente pubblico dovrebbe, invece, valorizzare lo spirito di iniziativa di una neo-mamma, non ostacolarla dietro al pretesto di “garantire a tutti i dipendenti lo stesso trattamento”. È bene chiarire che applicare in modo uniforme le stesse regole a situazioni lavorative profondamente diverse rappresenta, per definizione, una condotta discriminatoria. La condizione di una Lisa, madre di un bambino di 5 mesi e residente a 70 km dalla sede lavorativa, è ben diversa da quella di un “Giacomo che deve affrontare deviazioni stradali” o di una “Maria che assiste un genitore anziano” – situazione, quest’ultima, già tutelata da specifici strumenti normativi, come i permessi previsti dalla legge 104/92. Altro elemento cruciale su cui SEAM sorvola – non è chiaro se per inadeguatezza o per pregiudizio – è la tipologia delle mansioni svolte dalla lavoratrice e la loro piena compatibilità con il lavoro da remoto. È ovvio che un addetto alla produzione debba lavorare in presenza; ma un’addetta alle relazioni pubbliche e stampa ha bisogno unicamente di un PC e di una connessione Internet per poter svolgere la propria attività. Il riferimento alla necessità di “accogliere e assistere i media a Cortina” in vista delle Olimpiadi è senz’altro noto alla lavoratrice. Tuttavia, tale compito rappresenta solo una delle mansioni previste dal bando da lei vinto. Peraltro, la dipendente ha sempre dichiarato la propria disponibilità a svolgere tali compiti in presenza, come è giusto che sia. La mia assistita non ha imposto nulla: ha avanzato delle proposte, chiedendo di conoscere le precise motivazioni ostative allo svolgimento – per un periodo circoscritto e per specifici compiti – della prestazione in modalità di smart working. Se dovesse perdurare questa chiusura immotivata e apodittica al confronto, non si escludono ulteriori iniziative.
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