******
Facendo seguito alle prime dieci parti di questa succinta e didascalica trattazione sui Domìni Collettivi, Agordini in special modo, consigliamo la lettura delle prime dieci parti da qui raggiungibili:
PRIMA PARTE SECONDA PARTE TERZA PARTE QUARTA PARTE QUINTA PARTE SESTA PARTE SETTIMA PARTE OTTAVA PARTE NONA PARTE DECIMA PARTE UNDICESIMA PARTE DODICESIMA PARTE TREDICESIMA PARTE
Nelle precedenti parti abbiamo già trattato della effettiva proprietà dei Domini Collettivi (che dal 2017 in poi continuano ad essere chiamati impropriamente Usi Civici ). Abbiamo già visto che non sono di proprietà dei Comuni, i quali hanno la sola Amministrazione in assenza della costituzione di un “Ente Esponenziale” rappresentativo degli aventi diritto e che, nelle nostre zone, è normalmente costituito dalle Regole. Tale Amministrazione da parte del Comune dei Domini Collettivi deve essere esercitata in “Amministrazione Separata”, ossia entrate ed uscite di questa gestione devono essere ben identificabili, non devono partecipare al bilancio generale del Comune e da qui la definizione di “Amministrazione Separata”. Tali proventi hanno inoltre un vincolo di destinazione e non possono essere utilizzati a copertura parziale delle uscite correnti del Comune (spese correnti) se non per la sola quota afferente gli oneri di gestione che il Comune affronta per tale Amministrazione Separata, ossia la parte delle spese del personale del Comune impegnato in questa speciale gestione. I proventi principali derivanti dai Domini Collettivi sono le affittanze di Malghe e Pascoli afferenti al Dominio, ma soprattutto i ricavi derivanti dalle gestioni forestali, ossia la vendita del legname proveniente dal Dominio Collettivo e qui si comprende l’importanza della prescrizione di Legge riguardo l’ utilizzo di tali proventi da parte del Comune. Se prima del 2017 c’erano dubbi sulla questione, dopo la Legge 168/2017, non sussistono più dubbi.
Proponiamo qui una parte della recente sentenza del TAR Veneto del 9 Aprile 2025, che ripercorre lo stato giuridico di tali Beni e gli obblighi che hanno i Comuni per la loro Amministrazione qualora non sia ancora stato costituito , come già sopra accennato, l’“Ente Esponenziale” rappresentativo degli aventi diritto e che, nelle nostre zone, è normalmente costituito dalle Regole.
9.1. Questo Tribunale Amministrativo ha già affermato che: “3.1. Gli usi civici sono diritti reali millenari di natura collettiva, volti ad assicurare un’utilità o comunque un beneficio ai singoli appartenenti ad una collettività.
Essi sono disciplinati a livello statale: dalla legge n. 168 del 20 novembre 2017 e dalla legge 16 giugno 1927, n. 1766 (artt. 1-34 e 36-43) nonché dal relativo regolamento di esecuzione di cui al r.d. n. 332 del 1928. A livello regionale gli usi civici sono disciplinati dalla legge n. 31 del 22 luglio 1994.
In base all’art. 1 della legge n. 168 del 2017, ‘Gli enti esponenziali delle collettività titolari dei diritti di uso civico e della proprietà collettiva hanno personalità giuridica di diritto privato ed autonomia statutaria”; essi amministrano “i beni di proprietà collettiva e i beni gravati da diritti di uso civico” e sono dotati di capacità di autonormazione e di gestione “del patrimonio naturale, economico e culturale, che fa capo alla base territoriale della proprietà collettiva, considerato come comproprietà inter-generazionale’.
In mancanza di un ente esponenziale, tali beni sono gestiti dai comuni con amministrazione separata (art. 2). I beni infatti devono ritenersi appartenenti non all’amministrazione-apparato, intesa come persona giuridica pubblica, ma all’amministrazione-collettività, in quanto tali amministrati dal Comune come ente esponenziale preposto all’effettiva realizzazione degli interessi della collettività dei residenti.
Il Comune amministra quindi questi beni non in quanto di sua proprietà, bensì in quanto appartenenti alla collettività di riferimento – ai residenti di quel determinato territorio – al fine di rendere effettive le varie forme di godimento e di uso collettivo del bene.
In particolare l’amministrazione dei beni collettivi avviene in forma “duale”: al Comune – quale ente esponenziale dei diritti della collettività – spetta l’ordinaria amministrazione di tali beni, mentre a fronte di iniziative di carattere straordinario – come è il caso di alienazioni o di mutamenti di destinazione – alla Regione spetta il necessario potere autorizzatorio.
3.1.1. Per quanto tali beni siano soggettivamente privati, per costante giurisprudenza sono soggetti ad un regime giuridico sostanzialmente corrispondente a quello dei beni demaniali (Cass., Sez. III, 28 settembre 2011, n. 19792; Cass. Sez. III, 28 settembre 2011 n. 19792) e quindi sono di norma inalienabili, incommerciabili ed insuscettibili di usucapione (art. 3, comma 3, legge n. 278 del 2017).
La sottoposizione di tali beni ad un regime in parte riconducibile a quello dei beni demaniali è correlata alla necessità di garantirne il godimento e l’uso collettivo e altresì la conservazione – l’intergenerazionalità – in quanto anche strumenti di tutela dell’ambiente e del paesaggio (Corte cost., 31 maggio 2018, n. 113; Corte cost. 11 maggio 2017, n. 103).
La destinazione del bene gravato da uso civico, come bosco o come pascolo permanente, non può pertanto essere modificata, salva la possibilità di richiedere l’autorizzazione (oggi di competenza della Regione in luogo del Ministero) a derogarvi attraverso un procedimento che anche oggi ha carattere tipicamente eccezionale e non può né deve risolversi nella perdita dei benefici, anche solo di carattere ambientale per la generalità degli abitanti, unicamente a vantaggio di privati (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 25 settembre 2007, n. 4962; Cons. Stato, Sez. VI, 6 marzo 2003, n. 1247).
Ai sensi dell’art. 12 della legge n. 1766 del 1927 nonché del combinato dell’art. 3 della legge n. 178 del 2017, dell’art. 3 della legge n. 97 del 1994 e dell’art. 10 della legge regionale n. 31 del 1994 tale eccezionale deroga richiede l’autorizzazione dell’ente di controllo ed in particolare della Regione.
3.1.2. Anche l’attribuzione di un bene gravato da uso civico in concessione in uso esclusivo ad un terzo per un consistente lasso di tempo comporta una sottrazione del bene all’uso collettivo ed implica un mutamento di destinazione del bene che richiede l’autorizzazione dell’ente di controllo.
3.1.3. L’affidamento del bene collettivo in concessione a terzi richiede inoltre il coinvolgimento procedimentale degli effettivi titolari del diritto collettivo – quindi della collettività dei residenti – e altresì lo svolgimento di una procedura competitiva.
E’ stato infatti affermato che: ‘Quando il mutamento di destinazione “in deroga” delle terre sottoposte ad uso civico si risolve in un’attribuzione a terzi di diritti spettanti alla collettività, l’iter per il rilascio della relativa autorizzazione deve quindi essere necessariamente ricondotto all’ambito proprio dei procedimenti di concessione dei beni demaniali, in quanto ha l’identico effetto di privare i componenti della collettività (che ne sono i veri titolari) del beneficio, per trasferirlo a soggetti privati che richiedono l’utilizzazione imprenditoriale del terreno a fini di lucro personale per un consistente lasso di tempo.
Infatti, se i diritti appartengono alla collettività e questi sono solo amministrati dal Comune sotto il controllo della Regione, è evidente che le relative dinamiche procedimentali di gestione non solo debbano corrispondere al predetto assetto istituzionale, ma soprattutto debbano comunque avvenire nel rispetto dei cardini della pubblicità, imparzialità, trasparenza e non discriminazione in quanto, analogamente alle concessioni di beni demaniali, anche qui il procedimento finisce per costituire un utilizzo privato di beni della collettività che, nel favorire le possibilità di lucro di un determinato imprenditore in danno degli altri, altera le naturali dinamiche del mercato (arg. ex Corte Conti 13 maggio 2005 n. 5)’ (cfr. Cons Stato, Sez. IV, 26 marzo 2013, n. 1698).
La natura comunque ‘pubblica’ dei diritti di uso civico comporta, in linea generale, l’applicazione dei principi di derivazione comunitaria, di concorrenza, parità di trattamento, trasparenza, non discriminazione, e proporzionalità, di cui all’articolo 1 della legge n. 241 del 1990 e s.m.i, i quali non solo si applicano direttamente nel nostro ordinamento, ma debbono informare il comportamento della P.A., anche quando, come nel caso di concessioni di diritti su beni pubblici, non vi sia una specifica norma che preveda la procedura dell’evidenza pubblica (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 19 giugno 2009, n. 4035).
Sul punto è stato infatti affermato che ‘In coerenza […] della ricordata natura collettiva ‘duale’ dei diritti reali, l’interpretazione costituzionalmente orientata ai cardini di cui all’art. 97 Cost. impone che le procedure concernenti le richieste di autorizzazione al mutamento di destinazione debbano anche rispettare le regole di cui alla legge 7 agosto 1990, n. 241, e s.m.i. ed in particolare i principi generali:
– del contraddittorio, di informazione e di partecipazione pubblica: pertanto, prima di procedere a qualunque iniziativa in materia di deroga ex art. 12 della L. n. 1766/1927, le amministrazioni comunali – la cui rappresentanza è pur sempre in nome della loro collettività – devono dare massima notorietà a mezzo di pubblici avvisi anche sul proprio sito internet, dell’esistenza dell’iniziativa ed delle relative condizioni generali, al fine di consentire la partecipazione e richieste di chiarimenti, l’emersione del dissenso, il vaglio delle eventuali obiezioni dei soggetti appartenenti alla comunità che sono i reali titolari dei diritti civici;
– di trasparenza, pubblicità ed imparzialità: la procedura ad evidenza pubblica non può che seguire il canone generale di cui all’art. 12 della legge n. 241 del 1990 che è espressione concreta dei cardini costituzionali di cui all’art. 97 della Costituzione a presidio dei principi dell’imparzialità e della trasparenza (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 10 maggio 2005, n. 2345). La predetta norma (oltre ai casi ‘… di sovvenzioni e sussidi, ecc., …’) disciplina, senza distinzioni di sorta, tutte le concessioni concernenti ‘…l’attribuzione di vantaggi economici di qualunque genere a persone ed enti pubblici e privati’ tra i quali rientrano indubitabilmente anche le fattispecie di cui all’art. 12 della legge n. 1766 del 1927. Pertanto, l’autorizzazione alla cessione ovvero al mutamento di destinazione di un bene civico deve essere senz’altro ‘…subordinata alla predeterminazione ed alla pubblicazione da parte delle Amministrazioni procedenti dei criteri e delle modalità cui le Amministrazioni devono attenersi’ (come recita il cit. art. 12)’ (cfr. Cons Stato, Sez. IV, 26 marzo 2013, n. 16989).
In definitiva è necessario l’espletamento di un confronto concorrenziale non solo per l’individuazione di tutti i soggetti potenzialmente interessati, ma anche per il conseguimento del massimo utile per l’universitas civium. Ciò richiede l’esperimento della pubblicità e la predeterminazione dei criteri di assegnazione che devono essere resi previamente noti a garanzia della trasparenza e dell’imparzialità dell’azione amministrativa e dalla successiva puntuale verifica dell’applicazione degli stessi nel provvedimento con cui il Comune chiede alla Regione l’assenso al mutamento di destinazione” (cfr. TAR Veneto, Sez. I, 22-6-2021, n. 837).
*********