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“VA IN MONA” LO SPETTACOLO TEATRALE IN ANTEPRIMA NAZIONALE SABATO 6 SETTEMBRE ALLA SALA POLIFUNZIONALE DELLE SCUOLE ELEMENTARI DI DOSOLEDO ALLE 20:30 CON INGRESSO LIBERO
Costante, un mulo fifone dai modi rozzi, è imprigionato in una stalla in attesa del suo destino, accusato di diserzione. Cerca di evadere dialogando con il suo io interiore, che lo condurrà in un viaggio tra storia, sorrisi e un pizzico di follia, alla scoperta di sé stesso e del proprio coraggio. Riuscirà a salvarsi la pelle? L’incredibile processo a Costante, un mulo alpino nella Grande Guerra. Costante, insieme al suo conducente Mario e ad altri 66 Alpini del Battaglione Fenestrelle, dovrà difendersi in un processo dopo l’accusa di diserzione nell’estate del 1915, durante un attacco al Passo della Sentinella. Una storia raccontata dal punto di vista di un mulo veneto e di un Alpino piemontese: due soldati del Battaglione Fenestrelle, uniti da un’amicizia indissolubile che li aiuterà ad affrontare il loro destino.
Monologo scritto, diretto e interpretato da Marco De Martin Modolado.
Liberamente tratto dal saggio storico Alpini alla sbarra di Damiano Leonetti (Gaspari Editore, 2014). Spettacolo realizzato in collaborazione con il Gruppo Alpini Comelico Superiore. La storia del mulo Costante, tra fantasia e realtà, ha lo scopo di far conoscere una vicenda realmente accaduta attraverso un punto di vista differente: ironico, satirico e poetico. L’incontro tra espressione artistica e informazione storica dà vita a un viaggio in cui il protagonista è un mulo che, per la prima volta nella sua vita, si trova ad affrontare la Grande Guerra. Come vive questa atmosfera un animale? Cosa prova? Cosa pensa di questa follia? Uno sguardo diverso, mai affrontato, insolito, per raccontare una vicenda poco conosciuta e per troppi anni nascosta, al fine di non intaccare il mito degli Alpini in un evento storico – la Grande Guerra – che ha cambiato il corso della storia. Nella creazione dell’opera l’autore ha voluto attualizzare e sottolineare la crudeltà e l’insensatezza della guerra, come tutte le guerre, comprese quelle che ancora oggi stiamo vivendo.
Cosa abbiamo imparato dal nostro passato?
Durante la Prima guerra mondiale, accanto agli uomini combatté un esercito di animali. Muli, asini, buoi, cani, cavalli e piccioni vennero utilizzati per azioni belliche, per lo spostamento di reparti e materiali, per le comunicazioni e il sostentamento delle truppe al fronte. La forzata coesistenza di animali e uomini generò una tragica fratellanza di fronte alla morte e alla sofferenza. Gli Alpini si distinguevano per il legame particolare con i loro compagni senza divisa. In battaglia, nei momenti difficili, la presenza dei muli rappresentava una delle poche certezze. Una relazione, quella col mondo animale, che non è semplice convivenza o coabitazione forzata, ma identificazione dell’essere umano con l’essere animale: è l’istinto di sopravvivenza a prevalere in trincea, è l’istinto di fuga che fa dell’uomo un disertore, è la fame che divora da fuori e la paura che rode da dentro. Nel mondo straziato dalla guerra, la bestialità appartiene agli uomini, abbrutiti dalla violenza, mentre gli animali al fronte – coprotagonisti di episodi tragici o inaspettatamente sentimentali – rimangono l’ultimo baluardo di umanità e vita. “Erano i muli i nostri commilitoni a 4 zampe, spesso il solo legame tra noi e la valle e il resto del mondo, anzi la sola certezza che non eravamo del tutto abbandonati alla nostra diuturna fatica. La posta si smarriva, il telefono spesso si interrompeva, i superiori comandi raramente si facevano vivi, specialmente in tempo di subbugli; ma il mulo arrivava regolare come un cronometro, a tempesta o a sereno, all’alba dopo il cambio, la sera dopo la battaglia, sulle posizioni nuove, da magazzini sempre più lontani.” (Paolo Monelli)
La vicenda tratta dal libro Alpini alla sbarra di Damiano Leonetti (Gaspari Editore, 2014) Nell’estate del 1915 l’Italia era nel pieno del primo tentativo di impossessarsi dei punti cruciali dello schieramento austriaco, non ancora presidiati. Proprio un reparto alpino piemontese, il Battaglione Fenestrelle, fu impegnato in reiterati assalti sulle Dolomiti Orientali, tra la Croda Rossa e il Monte Popera. Il giorno di Ferragosto, una compagnia già duramente provata e ridotta nei ranghi per le perdite subite venne incaricata di partecipare alla conquista del Passo della Sentinella, un luogo difficilissimo da raggiungere sotto il fuoco nemico. Mentre si stavano predisponendo le misure per l’attacco, e approfittando dell’assenza momentanea dell’ufficiale comandante, un gruppo di circa sessanta soldati cercò riparo in un bosco e negli anfratti del terreno. Non era la festività religiosa a generare scoramento, bensì la perdita del loro amato sottotenente in un attacco del giorno precedente – nel quale il Battaglione Fenestrelle aveva subito un vero massacro – e l’esperienza di montagna che temporaneamente incuteva timore per quell’assalto. Di essi, 28 vennero processati il 26 agosto da un tribunale militare straordinario – uno dei primi e l’unico in tutta la guerra in quel Corpo d’armata. La sentenza, che pur nella sua severità non prevedeva condanne a morte, fu giudicata troppo indulgente da Cadorna, che ne trasse motivo per emanare disposizioni ancora più rigide. Come fu possibile che degli Alpini piemontesi passassero per codardi? Un processo occultato nell’estate del 1915 per non incrinare un mito, scoperto nei faldoni dell’Archivio di Stato Maggiore dell’Esercito. Gli Alpini piemontesi del Fenestrelle davanti al Tribunale Straordinario di Guerra nelle Dolomiti – convocato da Luca Montuori e presieduto da Giacinto Ferrero, generali noti per la loro durezza – furono condannati. Damiano Leonetti ricostruisce la vicenda militare con testimonianze dirette, tra cui quella della figlia di uno dei soldati.
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