A oggi, gli effetti della guerra in Ucraina produrranno per l’anno in corso una riduzione del Pil del Veneto di 2,2 miliardi di euro reali che corrispondono a una perdita di potere d’acqusto medio per ciascuna famiglia della nostra regione pari a 1.065 euro. Se lo scorso gennaio la previsione di crescita della ricchezza prodotta in Veneto nel 2022 era al 4,2 per cento, nella successiva previsione di aprile l’aumento è stimato al 2,4 per cento, con una variazione del tasso di crescita di -1,8 punti percentuali. Boom del costo delle bollette e diminuzione dei consumi sono le voci che più delle altre influenzeranno questa contrazione.
A livello territoriale, comunque, le famiglie più penalizzate saranno quelle residenti in Trentino Alto Adige (-1.685 euro), nella Valle d’Aosta (-1.473 euro) e nel Lazio (-1.279 euro). Se le prime due realtà territoriali risentiranno, principalmente, dall’aumento dei costi energetici, la terza, che è decisamente condizionata dai risultati della provincia di Roma, patirà, in particolar modo, del forte calo sia delle importazioni sia dei consumi interni. A dirlo è l’Ufficio studi della CGIA.
Queste stime, ovviamente, sono parziali e suscettibili di cambiamenti; la situazione che abbiamo vissuto in questi primi 3 mesi di conflitto, infatti, potrebbe mutare radicalmente. Nella malaugurata ipotesi che, ad esempio, la situazione militare subisse una decisa escalation, è evidente che queste previsioni andrebbero riviste completamente.
Come dicevamo più sopra, le stime in capo alle famiglie sono il risultato del deterioramento del quadro economico mondiale dovuto al conflitto russo-ucraino che nel nostro Paese ha provocato un forte rincaro delle bollette di luce e gas, le difficoltà del commercio internazionale verso e da alcuni paesi, l’impennata dell’inflazione e la difficoltà di reperire molte materie prime. Questa situazione provocherà una perdita di potere d’acquisto soprattutto alle famiglie del Centro e nel Nordest.
L’inflazione è regressiva: colpisce i meno abbienti
L’inflazione quest’anno è prevista attorno al 6 per cento e, come sostengono gli esperti, è una tassa e della peggiore specie. Non si versa come gli altri tributi, ma la si “paga” subendo la riduzione del potere d’acquisto che colpisce, in particolar modo, chi ha un reddito fisso. Se quella presente quest’anno è alimentata dall’aumento dei prezzi dei beni energetici che importiamo dall’estero, questo tipo di inflazione è ancor più allarmante perché si abbatte sulle famiglie meno abbienti. Secondo l’Istat, infatti, con un caro vita in crescita del 6 per cento, questo si traduce in un incremento effettivo dell’8,3 per cento per le famiglie più povere e del 4,9 per cento per quelle benestanti. La ragione di questa assimetria è riconducibile al fatto che nel carrello della spesa dei meno abbienti, i beni e i servizi ove i prezzi sono aumentati, come gli alimentari, pesano in proporzione maggiore delle altre tipologie di consumatori. Il Governo, secondo la CGIA, dovrebbe intervenire subito, tagliando in misura importante il cuneo fiscale. Solo con una misura salva-salari, infatti, potremmo evitare il crollo dei consumi delle famiglie e, conseguentemente, anche i ricavi degli artigiani e dei piccoli commercianti.
Con la stagflazione è a rischio anche il PNRR
Il quadro economico generale si presenta a tinte molto fosche; il pericolo che il Paese stia scivolando lentamente verso la stagflazione è molto elevato. E’ un termine, quest’ultimo, ai più sconosciuto, anche perché si manifesta raramente, ovvero quando ad una bassa crescita del Pil, che nei casi più drammatici diventa addirittura negativa, si affianca un’inflazione molto alta che fa impennare il tasso di disoccupazione, così come è successo nella seconda metà degli anni ’70 del secolo scorso. Probabilmente questo fenomeno non lo vivremo nel 2022, anche se il trend sembra essere segnato: le difficoltà legate alla post-pandemia, agli effetti della guerra, alle sanzioni economiche inflitte alla Russia, all’aumento sia dei prezzi delle materie prime, in particolar modo di quelle agroalimentari, e sia dei prodotti energetici, rischiano, nel medio periodo, di spingere anche la nostra economia verso una crescita pari a zero, con una inflazione che si avvierebbe a sfiorare le due cifre. Uno scenario che potrebbe addirittura rendere pressoché inefficaci i 235 miliardi di euro di investimenti previsti nei prossimi anni dal PNRR.