Nel Sud e nelle Isole le pensioni erogate superano abbondantemente il numero di lavoratori dipendenti e autonomi, ma nel giro di qualche anno il sorpasso è destinato a compiersi anche nel resto del Paese; Veneto compreso. Secondo alcune previsioni, infatti, entro il 2029 nella nostra regione sono destinati a uscire dal mercato del lavoro per raggiunti limiti di età 291.200 addetti (vedi Tab. 1). E’ evidente, visto la grave crisi demografica in atto, che difficilmente riusciremo a rimpiazzare tutti questi lavoratori che non saranno più tenuti a timbrare il cartellino ogni giorno. Insomma, in meno di 7/8 anni i trattamenti pensionistici erogati in Veneto sono destinati a superare le buste paga degli operai e degli impiegati presenti nelle nostre fabbriche e nei nostri uffici. Gli ultimi dati disponibili che ci consentono di effettuare un confronto tra il numero degli occupati e quello delle pensioni erogate sono riferiti al 2024. Ebbene, se il numero dei lavoratori dipendenti e degli autonomi in Veneto era di 2,2 milioni, gli assegni corrisposti ai pensionati erano 1,8 milioni (saldo pari a +395.338). A livello regionale solo la Lombardia, con un saldo pari a +803.180 unità, registra un risultato migliore del nostro (vedi Tab. 2). Questa analisi è stata realizzata dall’Ufficio studi della CGIA che ha elaborato i dati dell’Inps e dell’Istat.
Padova, Verona e Treviso le realtà più virtuose
Dall’analisi del saldo tra il numero di occupati e le pensioni erogate nel 2024, la provincia veneta più virtuosa è Padova che registra un risultato pari a +99.804. Seguono Verona con +98.955, Treviso con +76.848, Vicenza con +67.773, Venezia con +52.000 e Belluno con +1.998. La situazione più critica riguarda Rovigo. Nella provincia polesana il sorpasso è già avvenuto. Il saldo, infatti, è pari a -2.040 (vedi Tab. 3). Come dicevamo più sopra, ancorché il Veneto presenti un risultato positivo, il trend è destinato a peggiorare, a causa della interazione di tre fenomeni strettamente correlati fra di loro: la denatalità, il progressivo invecchiamento della popolazione e un tasso di occupazione che rimane inferiore alla media delle aree più sviluppate d’Europa. La combinazione di questi fattori ha ridotto progressivamente il numero dei contribuenti attivi e, conseguentemente, ingrossato la platea dei percettori
di welfare. Un problema che non riguarda solo l’Italia; purtroppo, attanaglia la gran parte dei principali paesi del mondo occidentale.
L’anzianità dei lavoratori è un problema soprattutto per gli imprenditori delle regioni piccole
Con tanti pensionati e pochi giovani, anche le imprese sono in seria difficoltà. Reperire sul mercato del lavoro figure professionali altamente specializzate è ormai diventata un’impresa quasi impossibile. Ad oggi, la regione che presenta l’indice di anzianità dei dipendenti privati più elevato d’Italia è la Basilicata (82,7). Seguono la Sardegna (82,2), il Molise (81,2), l’Abruzzo (77,5) e la Liguria (77,3). Il dato medio nazionale è pari al 65,2. Le regioni meno “colpite” da questo fenomeno – anche se già da alcuni anni sono costrette comunque a fare i conti con questa criticità – sono l’Emilia Romagna (63,5), la Campania (63,3), il Veneto (62,7), la Lombardia (58,6) e il Trentino Alto Adige (50,2). In buona sostanza, nella nostra regione il fenomeno è meno “impattante” che in molte altre aree del Paese, tuttavia i dati ci segnalano che ogni 100 dipendenti che lavorano in Veneto con meno di 35 anni, ve ne sono 62,7 che hanno oltre 55 anni (vedi Graf. 1).






